Attraverso i cammini Italiani c’è semplice ricerca di libertà o il movimento è in crescita?
Il 2020, annus horribilis per molti versi, verrà probabilmente ricordato nella storia dei cammini italiani come un periodo di svolta: moltissime persone si sono messe in marcia per la prima volta nella loro vita, affrontando percorsi di più giorni con uno zaino sulle spalle. Perché lo hanno fatto? Quali motivazioni li hanno avvicinati al viaggio a piedi? Si tratta di un fenomeno passeggero o siamo all’inizio di un “boom” dei cammini?
Ho ospitato centinaia di neo-camminatrici e camminatori alla Casa del Movimento Lento, il piccolo posto tappa che gestisco insieme a mia moglie Susanna lungo il Cammino di Oropa. Dal 28 Maggio, il giorno in cui abbiamo dichiarato ufficialmente che la stagione era aperta, è iniziato un flusso di viandanti senza precedenti, che è proseguito senza soluzione di continuità fino a tutto il mese di settembre, per calare solo dopo l’alluvione di inizio ottobre.


Più di metà delle persone che hanno pernottato nella nostra Casa erano alla loro prima esperienza di cammino; tra di loro il più giovane aveva 2 mesi, la più anziana 70 anni. É stato un pubblico diverso da quello che eravamo abituati ad ospitare negli anni passati: molti giovani, molte donne, a volte sole e più spesso in gruppi di amiche, molte famiglie al completo. Noi ci troviamo alla fine della prima tappa, ed è stato emozionante vedere l’entusiasmo con cui i neo-viandanti concludevano la prima giornata di cammino della loro vita.
Abbiamo parlato molto con i nostri ospiti, cercando di capire cosa li abbia spinti a mettersi in cammino proprio quest’anno, affrontando gli inevitabili disagi imposti dalle norme sanitarie. Il denominatore comune delle motivazioni è stata la reazione al prolungato blocco di primavera, in cui chiunque si è reso conto dell’importanza di un gesto semplice come il camminare. Oltre alla “semplice” voglia di camminare sono però emerse molte altre motivazioni. La principale era l’esigenza di riprendersi dai traumi causati del Covid: abbiamo ospitato una coppia che in primavera si era ammalata e ci aveva messo mesi a guarire; un viandante esperto ha portato con sé l’amico che aveva perso entrambi i genitori a causa della pandemia; ma nella maggior parte dei casi i nostri ospiti pur non avendo vissuto situazioni drammatiche avevano bisogno di riprendersi, il più delle volte perché avevano vissuto il lockdown in un piccolo appartamento in città, magari da soli.
Ho però l’impressione che la pandemia e il blocco prolungato di inizio primavera siano stati le gocce (ehm, direi lo tsunami…) che hanno fatto traboccare un vaso già colmo: molte persone erano già pronte a fare il primo passo, e la situazione che si è creata li ha semplicemente “sbloccati”. A volte il cammino è stato vissuto come una scelta di vacanza sicura, lontano dall’affollamento. Più spesso ho avuto l’impressione che le motivazioni fossero più personali e profonde.
Si tratterà di un fenomeno passeggero, o siamo all’inizio di una pacifica invasione dei cammini italiani? Io sono ottimista, e propenderei per la seconda ipotesi, perché chi vive l’esperienza di un viaggio a piedi difficilmente lo fa una sola volta nella vita. Il cammino è in qualche modo simile a un virus contagioso: non è facile liberarsene, ma per fortuna può fare solo bene.

ALBERTO CONTE
Alberto Conte si occupa da circa 20 anni della divulgazione del viaggio lento, a piedi e in bicicletta, collaborando con alcuni tra i principali enti di promozione turistica italiani. É presidente dell’Associazione Movimento Lento, e fondatore e direttore della società ItinerAria.
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