Facile, breve, con una meta finale di assoluto interesse in un monumentale sacro monte alpino, il Cammino di Oropa è in pochi anni diventato il terreno dove muovere i primi passi, con la prospettiva di proseguire su altri itinerari di lungo corso.

Quattro giorni di cammino, con partenza da Santhià, tappa lungo il tracciato della Via Francigena, affrontano la lenta e graduale salita ai 1200 m di Oropa, attraversando la Serra di Ivrea e costeggiando le pendici delle Alpi biellesi, montagne di tutto rispetto, che si elevano a ridosso della pianura Padana: vette arcigne che raggiungono i 2600 m con il Monte Mars. Il monte che domina – sempre ben visibile – sui primi due giorni di cammino è invece la Colma di Mombarone, con i suoi non banali 2371 metri.

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Ma il Cammino di Oropa si tiene ben distante dalle vette, limitandosi a guardarle da lontano. A questo proposito, è bene fare attenzione, nel corso della prima tappa, alla visione dei ghiacciai e delle nevi perenni del Monte Rosa, appena al di là delle valli biellesi. Il territorio attraversato da questo cammino è quello dei piccoli paesi alle pendici dei monti, minuscole comunità dove il passaggio di pellegrini e viandanti a piedi è assoluta novità. 

Si sa che i montanari sono per loro natura schivi, talvolta di poche parole, in qualche caso diffidenti nei confronti di chi viene da lontano. E sulla montagna biellese la novità del passaggio di gente a piedi ha suscitato reazioni di segno diverso. 

Gnomi sul Sentiero

La prima positiva sorpresa la troviamo a Cavaglià, dove in realtà il pellegrino è presente da tempo, essendo il paese sulla Via Francigena. L’accoglienza la organizza Marcello Vallese, manutentore del percorso, che ha aperto un punto sosta e timbro della credenziale appena oltre la parrocchiale. Il rituale prevede la foto, un pensiero da scrivere sul grande tazebao affisso al muro e il dono di un minuscolo berretto da gnomo in panno. Bisognerà riconsegnarlo al legittimo proprietario, per ingraziarsi i gentili spiriti dei boschi biellesi, dove il “piccolo popolo” abita da sempre, e pare che, nella notte dei tempi, abbia insegnato agli umani come fare il formaggio: le tome biellesi sono infatti ottime. Salendo dunque verso Roppolo, dovremo fare attenzione a scorgere, nel cavo di vecchi tronchi contorti, le case degli gnomi. E non è una leggenda o una storiella per bambini: ci sono davvero! Attenzione anche ai funghi, su cui gli elfi amano riposare: sulla Serra d’Ivrea si incontrano interessanti rarità.

Dal piccolissimo al fuori scala

Il ricetto di Viverone è luogo meritevole di una breve deviazione: si tratta di un borgo fortificato, composto da casette di due piani, pensate come ricovero temporaneo per persone e derrate, in caso di minaccia: nel XIV secolo, quando fu costruito, eserciti e bande armate scorrazzavano piuttosto liberamente nel Paese. Poco oltre il ricetto, ecco un oggetto in grado di farci sentire minuscoli come gnomi. Una panchina gigante di colore verde e dimensioni esagerate è lì per farci tornare bambini e contemplare il dolce paesaggio lacustre ai piedi della Serra d’Ivrea. Non è opera di gnomi, ma di un visionario designer americano, per chi vuole saperne di più.

Il silenzio e la preghiera 

Sono ben tre i luoghi di culto che si incontrano lungo il cammino, e il primo è davvero speciale. Poco distante da Magnano e dalla pieve di San Secondo, sorge il monastero di Bose, fondato nel 1968 da padre Enzo Bianchi, con un approccio ecumenico. Accoglie infatti monache e monaci, oltre a credenti di fedi religiose diverse. Chi vi entra, lavora: Bose è anche un’azienda agricola, dove la terra è curata con amore, e si vede. Chi passa a piedi è ben accolto: ci sono tavoli per il picnic, un negozio dove acquistare i libri editi dalla casa editrice interna, oltre ai prodotti di cascina. Prezioso il loro timbro sulla credenziale. Emozioni speciali regala il canto dei fratelli e delle sorelle per la preghiera, ogni giorno alle 12,30.

La Vergine Nera di Oropa

Ben più antico è invece il santuario meta del cammino. Il culto della Madonna nera si perde nella notte dei tempi, e nelle immagini dipinte che scandiscono il percorso, nelle cappelle campestri e affreschi delle case, non è difficile confondere la madre di Gesù con una mozartiana Regina della Notte o qualche dea pagana, carica di monili (ha persino orecchini pendenti), con ben tre corone che incorniciano il suo volto d’ebano, e un manto sontuoso che l’avvolge. Segno, questo, che il sacro può essere vissuto e declinato in modi diversi.

Graglia e i nani da giardino

Il secondo santuario, dove si fa tappa l’ultimo giorno, prima della salita a Oropa, è il santuario di Nostra Signora di Loreto, un grande complesso edificato a Graglia nel XVII secolo, con foresteria per i pellegrini. È uno dei luoghi più panoramici: nelle belle giornate la vista spazia tra Milano, le colline di Langhe e Monferrato e la vetta del Monviso. Prima dell’arrivo, lungo un tratto di strada asfaltata priva di attrattive, allieta i camminatori una rassegna da record di nani da giardino e di pupazzi omaggio, di quelli che si trovano nelle merendine di una nota azienda dolciaria albese. Sono migliaia, incollati su tutte le superfici disponibili. L’iniziativa è di una abitante, che cura anche un bel giardino e pare abbia il timbro per la credenziale.

Baita con pedaggio

Ormai il cammino è agli sgoccioli, ma prima di affrontare l’ultima salita, a dire il vero poco impegnativa, bisogna pagare pedaggio. Poco prima di Sordevolo il percorso attraversa il cortile di una baita: un cartello suggerisce di lasciare un’offerta (un fiorino?). Pare che nel caso non si lasci nemmeno un euro, vengano scatenati alle caviglie dei viandanti alcuni cani: dalle dimensioni (si tratta di botoli meticci alti circa 30 cm) si deduce che sono del tutto innocui. Sarebbe interessante, invece, acquistare i formaggi dei pastori. Un esperto di marketing dovrebbe dargli qualche buon suggerimento.

Ai piedi delle Alpi

L’arrivo al grandioso complesso del sacro Monte di Oropa è sempre emozionante, anche perché lo si vede solo agli ultimi passi. Due grandi cortili proteggono la chiesetta barocca, che a sua volta, come una matrioska, racchiude la cappella medievale dove è esposta la statua della Vergine nera, che, rispetto alle raffigurazioni incontrate sul cammino, ha aspetto più modesto e sguardo dolce. Un manto lunghissimo cucito a mano da un numero imprecisato di mani, è una grande coperta variopinta in grado di proteggere dal freddo alpino e scaldare il cuore a chiunque abbia affrontato i piccoli e grandi disagi di quattro giorni di cammino.

Roberta Ferraris

ROBERTA FERRARIS

Nata in vista del Monte Rosa, ha mosso i primi passi saltando di sasso in sasso lungo le sponde del fiume Sesia.
I suoi studi sono stati intensi ma irregolari, tra Italia e Stati Uniti. Ha fatto lunghi viaggi a piedi soprattutto in Italia.
Grazie alla conoscenza capillare del territorio collabora dal 1994 per vari editori e con Touring Editore dal 1999. È autrice di numerose guide turistiche ed escursionistiche e di racconti di viaggio.
Ha scritto anche di cucina e di stili di vita sostenibili. Contribuisce ai suoi lavori editoriali anche con foto e illustrazioni botaniche. Dal 2014 è guida ambientale escursionistica della Regione Piemonte e accompagna gruppi in prevalenza stranieri, a conoscere luoghi e cultura del nostro paese. Vive in Alta Langa, in una cascina isolata in collina.

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