Montagne, vette e libertà: il diario di Alessandro sull’Alta Via n.1
Siamo molto orgogliosi di una cosa: tutta la nostra community amano e rispetta la montagna. Un esempio è Alessandro che ci porta in vetta con il suo racconto autentico e dettagliato lungo uno dei percorsi più iconici delle Dolomiti, l’Alta Via n.1. Attraverso quattro giorni di trekking , ci narra le sfide, i paesaggi mozzafiato e gli imprevisti vissuti in compagnia di Martina, tra tappe serrate, notti in tenda e la ricerca di un equilibrio tra il desiderio di libertà e le esigenze pratiche del viaggio. Un diario che trasmette il fascino della montagna, la bellezza della fatica e il valore delle piccole cose, immerso nella filosofia del cammino ad alta quota e dell’essenzialità. Pronti a raggiungere la vetta?
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Provo a riordinare i pensieri e a riportarmi a questa nostra Alta Via (breve), un po’ riadattata alle esigenze lavorative. Erano mesi che mi accompagnavo con un libro di Franco Michieli (L’abbraccio selvatico delle Alpi) ed ero poi passato al più recente “Le vie invisibili“. Inutile dire che aveva fatto breccia in me il desiderio di vivere un’avventura con lo zaino in spalla e pochi comfort. Citando il libro:
“Viaggiare con questo spirito significa anche non avere bisogno di andare in capo al mondo per vivere un’avventura autentica, perché è il nostro farci piccoli e disarmati ciò che restituisce l’ignoto e il mistero di un luogo, non la sua fama di inaccessibilità. Esperienze rivoluzionarie non richiedono affatto grossi investimenti in denaro né sponsor.”
Volevo provare a me stesso che viaggi low cost, anche in un periodo super inflazionato come ferragosto, fossero possibili. La verità è che, essendo in due, qualche compromesso si deve trovare. Le principali determinanti di questa nostra avventura sono state il tempo a disposizione (solo quattro giorni) e il meteo. Le previsioni non erano dalla nostra parte, ma, come ho appreso dai libri letti, prima ancora che si diffondesse il turismo il termine bello o brutto tempo non esisteva: sono concetti nati successivamente.
L’Alta Via attraversa il cuore delle Dolomiti. Hai mai sentito parlare nei nove sistemi dolomitici? Ne abbiamo parlato in un articolo di Sara Massarotto!
In un ambiente montano, il sole come la pioggia sono elementi fondamentali che ne determinano gli equilibri. E poi, se stessimo sempre a guardare il meteo, non ci muoveremmo nemmeno di casa. Questa nostra AV1 è stata caratterizzata da tappe serrate, incertezze sulle previsioni meteo, ma certezza sulle docce da fare e dove farle (perché diciamocelo, bello essere selvadeghi, ma una doccia a fine giornata toglie via non solo il sudore, ma anche la stanchezza di dosso. E poi perché la Marti l’ha imposto come una condicio sine qua non – i famosi compromessi di cui parlavo prima).
Siamo partiti con due macchine, direzione Santa Fosca (Selva di Cadore – BL), per lasciare la prima auto e partire verso il vero inizio del percorso. Era mercoledì 14 agosto, sera tardi, perché siamo partiti dopo il lavoro. Pioveva (come da previsione). Decidiamo di pernottare in un albergo a due stelle vicino a Misurina. Per le tappe che ci eravamo prefissati avevamo bisogno di tutte le energie necessarie, quindi dormire in un posto caldo e asciutto quella notte sapevo che avrebbe aiutato molto a mantenere gli animi alti. E così fu.
Tappa 01: Lago di Braies – Rifugio Fanes
L’indomani, giovedì 15 agosto, partiamo in direzione di Dobbiaco, inizio ufficiale della nostra tappa. È mattina presto. Dopo una notte di pioggia l’umidità si fa sentire. Prepariamo gli zaini pesanti e ci dirigiamo verso la stazione degli autobus. Ad attenderci il bus #442, che in breve ci porta al parcheggio del Lago di Braies. Muoviamo i primi passi in direzione del lago: una colonna di persone si era già formata alla baita in riva al lago per noleggiare le famose barchette. Ci è bastato fare qualche curva seguendo il sentiero che abbraccia il lago per vedere diradarsi sempre di più la folla.

Per questo tipo di avventure, uno zaino ben attrezzato fa la differenza. La guida al primo cammino può aiutarti a scegliere l’essenziale.
Nel mio immaginario mi aspettavo di trovare difficoltà a muovermi in quel sentiero in un giorno come ferragosto, ma le mie aspettative furono disattese. Vuoi per l’orario troppo mattiniero, vuoi per l’aria frizzante, siamo riusciti a muoverci rapidamente, perdendo più tempo a scattare fotografie a una natura apparentemente incontaminata.
Fu poi quando guadagnammo i primi metri in direzione del Rifugio Biella che ci lasciammo alle spalle, oltre al lago, anche ogni turista. Raggiunto il rifugio (tappa ufficiale dell’Alta Via, ma non per noi), prendiamo il sentiero che porta verso la Croda del Becco. Volevo far vedere a Martina lo spettacolo che si può contemplare con un po’ di fatica.
E devo dire che, nonostante la salita spezza gambe, il panorama da lassù è qualcosa di difficilmente descrivibile a parole. Colori che vanno dal blu al verde smeraldo, uno specchio d’acqua incorniciato tra i monti. Scendiamo. Siamo solo a metà della tappa. Ripassiamo nuovamente dal Biella, dove decidiamo di riposare una mezz’ora, ristorandoci con una birra fresca.

Riprendiamo poi il cammino, direzione Rifugio Fanes, passando per i Rifugi Sennes e Pederù. Arriviamo stanchi, ma con gli occhi pieni, al Lago Lè Vert, nei pressi dei Rifugi Fanes e Lavarella. È sera. Ci facciamo una doccia veloce con l’acqua del lago. Martina è preoccupata di finire in galera, perché era ovunque espressamente vietato piazzare la tenda. Io, che avevo appena letto dell’Allemannsretten nel libro di Michieli, me ne infischio con sana anarchia (ps: vi invito alla lettura del libro).
Sorrido ancora al pensiero che Martina abbia dormito riposando un occhio alla volta, temendo di essere sorpresa nella notte a dormire in un luogo vietato. Si conclude così il nostro primo giorno di questa Alta Via, mangiando couscous preconfezionato con le ultime luci del giorno. Ci rintaniamo al calduccio della nostra tenda.
Tappa 02: Rifugio Fanes – Rifugio Lagazuoi
Ed è subito venerdì 16 agosto, sveglia presto per sgomberare la tenda pizzata il giorno prima dopo il tramonto. Direi una bugia se dicessi che quella notte in tenda è stata rigenerante. Ma l’avevamo messo in conto. Facciamo colazione con dei biscotti che ci siamo portati, ma decidiamo di fare scorta di calorie al rifugio vicino, il Rifugio Fanes, perché anche quel giorno non ci avrebbe regalato niente. La nostra destinazione (sulla carta) è il Rifugio Lagazuoi.
Ci stavamo abituando ad un ritmo lento, al silenzio, ad essere circondati dal verde e da poche persone. Ci siamo guardati spesso alle spalle per osservare la strada fatta, sembravano passati giorni; invece, si vedevano gli scorci attraversati cinque/dieci ore prima. Impressionante come il tempo sembri dilatarsi e rallentare. Condizione che mutò drasticamente una volta scavallata la Forcella di Lago. A quell’altezza hai una visione d’insieme di dove devi arrivare e da dove arrivi.
Anche noi di Cammini d’Italia siamo stati sulle Dolomiti in occasione del festival “I Suoni delle Dolomiti”. E abbiamo anche realizzato un docu-film. Guardalo qui e vola ad alta quota con noi!
Le persone sono piccolissime e sotto di noi vi era un formicaio in movimento, scendiamo con calma e man mano il brusio aumenta. Un elicottero del soccorso arriva e recupera in hovering un turista infortunato in prossimità del Lago Lagazuoi. Decidiamo di rimanere al lago per un po’ per riposare al sole prima della lunga salita che ci separa dall’omonimo rifugio. Prima che cambi il tempo decidiamo di partire, sotto il sole e bevendo gli ultimi sorsi di acqua a disposizione arriviamo al Rifugio.
Fuori tirava un vento freddo, dentro una folla enorme, riusciamo ad accaparrarci un posto per bere qualcosa. Martina ottiene la sua agognata doccia, io nel mentre prendo sonno sulla sedia al tavolo in cui stavamo, vengo svegliato dalla rifugista che deve pulire il tavolo e prepararlo per la cena. Mi ricompongo un attimo, approfitto anch’io di una doccia per poi ragionare a mente fresca il da farsi. La tenda in quel posto sarebbe stata difficile da piazzare, un po’ la stanchezza, un po’ la densità di persone; comincia a farsi largo l’idea di dormire in rifugio.
Parto scettico pensando che in quel periodo se non hai prenotato mesi prima un posto non lo trovi. E invece no, hanno posto. Ma a che prezzo? Resto dell’idea che quel rifugio abbia perso tutti i connotati di un rifugio vero abbandonando un po’ i principi di certi rifugi di montagna per accontentare un po’ la clientela che la funivia porta su dalle città. Issiamo gli zaini in spalla, nel mentre ho elaborato una via di fuga, un luogo meno turistico dove poter piazzare la tenda.
Attraversiamo in discesa le gallerie della guerra che contraddistinguono il Monte Lagazuoi, arriviamo al passo e risaliamo dolcemente nella direzione opposta al rifugio verso le Cinque Torri, abbandonando il percorso classico dell’Alta Via. Conosco un laghetto, dagli equilibri delicati in cui potremmo piazzare la tenda per questa notte, dico a Martina. Siamo nei pressi delle Cinque Torri, arriviamo al tramonto, i colori si accendono accentuati dai riflessi del lago vicino a cui abbiamo piazzato la tenda, vicino a noi solo un’altra tenda. Il silenzio è rotto solo dall’otturatore della fotocamera.

Tappa 03: Verso le Cinque Torri
Sabato 17 agosto, penultimo giorno della nostra Alta Via (corta), smontiamo la tenda come un rituale mattutino. E ci mettiamo in cammino per riprendere il cammino più a sud, la nostra destinazione sarà il Lago Federa. Paesaggi surreali anche in questa tappa, dal Pelmo alle Tofane, dal Becco di Mezzodì al Nuvolau. E fu proprio avvicinandoci ad esso che ci accolse un’ondata di salsicce ai ferri. Erano le dieci di mattina e non nego che le avrei mangiate di gusto.

Facciamo colazione per compensare quella (magra) fatta la mattina stessa. Ricordo di un sole che scaldava le ossa e asciugava i vestiti umidi. Sostiamo poco, ci sono ancora molte cose da vedere e tanti i chilometri e i metri di dislivello che ci separano dalla fine di quella tappa. Ed io non vedevo l’ora di mostrare a Martina le trincee della guerra, i monoliti delle Cinque Torri nelle quali qualche mese prima ero venuto ad arrampicare con amici. Ne fu entusiasta nonostante la stanchezza. Il meteo comincia a cambiare. Delle nuvole che prima sembravano lontane e innocue ora si avvicinavano minacciose.
Cominciano le prime puntine di pioggia, ma il tempo ci risparmia fino all’arrivo al rifugio prima di liberarsi in una pioggia leggera ma più persistente. Guardo Martina, che fino ad allora era stata bravissima e non si era mai lamentata, e le dico: “Stasera è l’ultima sera, fuori piove e fa freddo, domani sarà il nostro ultimo giorno e chiamano pioggia tutto il giorno. Che ne dici se dormiamo in rifugio stanotte, se hanno posto?”. Sorride e esplode nel suo ballo di felicità. Abbracciamo la lentezza dei ritmi del rifugio. Ci perdiamo in letture di riviste partite a carte, beviamo una tisana calda finche fuori piove a tratti.
Tappa 04: rientro a casa
Ci svegliamo in una domenica piovosa. È il 18 agosto. Ci facciamo coraggio dopo la colazione e usciamo nell’ambiente umido, la fine della nostra tappa sarà dove abbiamo parcheggiato la macchina quattro giorni prima. Sino ad allora il meteo ci aveva risparmiato e rispetto alle previsioni meteo che si prospettavano alla partenza di questo viaggio ci riteniamo più che fortunati, per questo accoglievano quella pioggia con leggerezza nonostante obbligasse a tenere uno sguardo basso e incupisse i panorami circostanti. Avevamo comunque il morale alto nonostante la pioggia battente, pioggia che ci ha accompagnati sino alla macchina
- “E le chiavi? Le hai tu?”
- “Io no! Dai lo so che le tirerai fuori quando arriveremo alla macchina.”
[spoiler: le chiavi le avevamo lasciate a Dobbiaco, le indagini sulle responsabilità sono ancora in corso, la Marti dice che c’è un concorso di colpa, forse perché sa che è colpa sua ma non lo vuole ammettere.]
Non doveva e non voleva essere un’esperienza rilassante, un po’ che come tutti i viaggi e le avvenute vissute in questi anni, anche questa mi ha insegnato ad apprezzare molto di più le cose semplici, che magari nella vita di tutti i giorni si è quasi portati a dare per scontato, proprio privandomi di esse. Per citare Michieli “c’è inganno nelle facilitazioni eccessive”.
Ed è così che dopo una giornata di sole apprezzi di più una birra ghiacciata o anche solo l’acqua di un torrente, dopo una giornata di freddo intenso si apprezza di più un luogo caldo o, ancora, dopo giornate intense l’accoglienza di un prato su cui fare un power nap. Ci si accorge di piccoli gesti, come il condividere con la persona che ami l’ultimo sorso d’acqua rimasto o l’ultima barretta di cioccolata.