Tra anima e gratitudine: i ricordi di Massimo lungo il Cammino della Sibilla
Per Massimo, il Cammino della Sibilla non è stato solo un nuovo percorso, ma un viaggio dentro l’accoglienza. Un cammino fatto di porte aperte, tavoli condivisi, sorrisi sinceri e quella gentilezza che per fortuna resiste, anche dove il tempo sembra essersi fermato. Spinto da una curiosità semplice, e da una frase di sua moglie, «Ti troverai benissimo, la gente lì è accogliente», Massimo ha seguito le frecce blu della Sibilla attraverso borghi e colline di luce. A ogni tappa, ha trovato qualcuno pronto ad accoglierlo come un amico: Rita tra le carte di Rieti Sotterranea, Dorina con la sua casa piena di memorie, Franco ed Elisa con una cena improvvisata e un bicchiere di Montepulciano. Nel suo racconto si intrecciano emozioni semplici: la fatica buona delle salite, il profumo del bosco, la solitudine che diventa pace, i dialoghi che restano nel cuore quasi come i paesaggi. Alla fine del viaggio, quando Tivoli appare tra le curve, la Sibilla gli lascia un messaggio che sembra scritto apposta per lui: «Hai raccolto altro sole dentro il tuo cuore, ora diffondilo.» E Massimo lo fa, condividendo questo cammino come un invito a rallentare, a fidarsi delle persone e a lasciarsi cambiare.
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Un viaggio tra accoglienza e riflessioni
10 ottobre 2025
Viola, mia moglie, mi suggerisce di percorrere il Cammino della Sibilla. Mi dice: “Ho sentito che c’è gente molto accogliente, solare, ti troverai benissimo.” Cerco la guida, “Di passi e di acqua, una guida fluida”, diversa dal solito, senza cartine, come se la parola fosse sufficiente a guidarmi, sentiero dopo sentiero, risvegliando sentimenti che Stefano Mecorio conosce bene. Trovo la credenziale e scopro Antimo, l’ideatore, che si offre di darmi tutte le informazioni di cui ho bisogno.
Cerco gli alloggi e incontro persone davvero squisite. Aveva ragione Viola: sembra che ogni ospitante aspetti proprio me, e questo fa parte del confort che mi ricorda casa. Prendo il treno per arrivare a Terni, poi a Rieti. Il capotreno mi informa che il treno non può arrivare a Terni, dovrò scendere alla stazione successiva, e un taxi mi aspetta per portarmi a Rieti. Un guasto, dicono, e a me va benissimo.
A Rieti, mi aspetta Rita (le credenziali), in un ufficio che rappresenta “Rieti Sotterranea”. Le carte sono dappertutto: libri, riviste, scatoloni. Guardiamo Rita muoversi in quel labirinto dove ogni cosa è al suo posto, e ci scappa anche un caffè. È ottobre. Le giornate sono corte, fredde al mattino e la sera, ideali per camminare in maglietta quando il sole è alto. Rieti è bellissima, tornerò a visitarla. Intanto, cerco il centro d’Italia, quella piazzetta che definiscono ombelico d’Italia. Da qui passano quattro cammini, tra cui quello di San Benedetto.
Mi guardo intorno, le frecce della Sibilla sono piccole, di un blu scuro, sufficienti per portarmi fuori città, attraversando il Ponte Romano sul fiume Velino. La prima salita è tosta, non lunghissima. Ho trovato alloggio a Belmonte. Sono solo, decido il ritmo, il passo, i tempi, ascolto ogni muscolo, ogni sensazione, ogni trepidanza e tutto il senso di abbondanza che mi accompagna. Il passo è deciso, le poderose funi mi aiutano a salire. Ringrazio, un aiuto non fa mai male. È il mio modo per sentirmi circondato da gesti amichevoli.
A Belmonte (Monte della guerra) mi aspetta Dorina nella sua casa. Qui il tempo si ferma, passato e presente si fondono, l’entusiasmo aggancia il futuro. Sulla parete delle scale, l’albero genealogico di Oriano e Dorina brilla dei suoi sentieri, in un cammino che non avrà fine. Ogni germoglio è l’anima di un pellegrino che ha scelto di venire proprio qui.
La cena e il dopo sono intrisi dei racconti delle cose a noi più preziose, più care, di quelle che lasciano il segno come un’impronta sul cammino. Lascio il mio donativo e proseguo per Rocca Sinibalda. Dalle foto, il castello sembra bellissimo, ma è precluso dal suo cancello sbarrato. Peccato, ci sta un caffè, solo un euro.
Proseguo ascoltando il suggerimento di Dorina: pazientare un attimo a Posticciola. I suoi murales sono idilliaci e teneri. Mi fermo in alto, nella piazza della Chiesa, davanti a me sul muro a triangolo, l’immagine di due mani che si protendono a offrire la propria gratitudine alla terra inondata di spighe. Bevo acqua di mare isotonica e pranzo con formaggio di capra, uova sode e qualche noce. Sotto di me, il lago artificiale del fiume Turano incomincia a espandere il suo blu intenso verso i monti. Lì arrivo, per circumnavigarlo e giungere a Castel di Tora.
Nel donativo di Rita, dove i pellegrini devono dare il meglio di sé per convivere in pochi metri quadri, incontro Franco ed Elisa. Rita, che si farebbe in quattro per noi, ci ha preparato mezza cena. Al resto ci pensa Franco: penne senza glutine, sugo alla salsiccia, peperoni e melanzane sott’olio, accompagnati dal Montepulciano di Franco.
Camminare vuol dire condividere emozioni, risorse, la vaselina, il tempo, il sentiero. E diventa tutto più facile, sul cammino, quasi scontato. La mattina partiamo insieme. La prima salita lunga, dai 600 metri arriviamo a 1000 m con facilità, poi si scende per Orvinio. Franco ed Elisa sono sul cammino di San Benedetto. Fino a Licenza, il tragitto è lo stesso e la segnaletica è soprattutto quella del Santo, oltre le bandierine del Cai.
Orvinio sta intorno agli 800 metri. Borghi piccoli con poche distrazioni cittadine, per chi ama la comunicazione con la terra, con le montagne. Maurizio e Simonetta raccolgono quasi tutti i pellegrini e la mattina siamo in 13 per fare colazione insieme. Si riparte per Licenza. Tappe brevi, si ritorna a più di mille metri senza difficoltà. Sono ancora con Franco ed Elisa. Sembra conoscerli da una vita, i cancelli emozionali si sono aperti, la comunicazione è più fluida, ci si lascia conoscere tra le molteplici cose che ci accomunano, tra cui l’interesse per le nostre discendenze.
Quando arriviamo a Licenza, so che le nostre strade si divideranno. Una birra suggella la gratitudine di aver camminato insieme e attenua la nostalgia dell’assenza. A Licenza mi accoglie Emanuela, che mi ha preparato la colazione senza glutine, come le avevo chiesto. Anche lei è carinissima, ha acconsentito a tutto. Ho il pomeriggio tutto per me per visitare il borgo. I soliti lucchetti mi limitano la scoperta, ma approfitto per sentire i profumi e le sensazioni di un luogo indomito e schivo ai maneggi della vicina Roma. A sera, una fiorentina per quattro mi incoraggia a ricaricarmi.
La mattina del quinto giorno, dopo frutta e uova fritte, una tappa di riguardo oltre mille metri, settecento e passa di dislivello. Si apre subito un paesaggio diverso dai precedenti. Passo dalle querce ai castagni, ai faggi imponenti, sempre nel bosco che si apre e si chiude a suo piacimento.
Ad un tratto, un prato infinito si spalanca. Sul sentiero incontro uomini e donne della Regione Lazio, che ripassano le bandierine del Cai con vernice e pennello. Ringrazio, perché tengo molto da conto quei segnali che mi guidano senza gpx su questo sentiero. Un ottimo lavoro. Poi entro di nuovo nel bosco di faggi immensi, il sentiero prosegue tra filari di faggio che lasciano scoperto, nell’ombra più corposa, un fiume privo d’acqua, sostituita da sassi bianchi. Il ritmo si fa più lento, ma il paesaggio semilunare è unico, affascinante. La solitudine si fa più pressante, ma fa parte del regalo che questa terra mi offre, che custodisce me, come le mucche dalle lunghe corna e i cavalli allo stato brado che la attraversano.
È qui che incontro Stefano e Mauro, in perlustrazione per guidare altri pellegrini in questa terra incantata. Arrivo al pratone di San Gennaro per ricaricarmi, la gioia nel corpo, lo splendore negli occhi, la leggerezza nel cuore e le castagne in tasca. Ora in discesa fino a San Polo dei Cavalieri, una birra in piazza e poi a Palazzo Leonardi da Valentina, che, come scoprirò dopo, è anche proprietaria del castello che si erge in cima. Un’altra preziosità di questi borghi troppo spesso chiusa.
Io e Valentina parliamo di sogni, di progetti, di cammini di vita che l’anima predilige. In giro per San Polo, tra queste case che sembrano incollate una ad una alla roccia, torri accatastate tra vicoli appena accennati, come a difendersi dal tempo e dagli sguardi per preservare l’intimità e l’identità, ignari che la Sibilla ha già deciso che i pellegrini e gli abitanti hanno qualcosa da condividersi, da raccontarsi, da donarsi.
Venerdì mattina saluto San Polo dei Cavalieri, che si trova a un passo da Tivoli. Già si intravede alle prime curve della discesa. Anche la Sibilla sa del mio arrivo, il passo è lento, non c’è fretta di abbandonare il cammino. Una sughereta mi ricorda la Sardegna, ma è più ordinata, più linda, più maestosa. Mi soffermo a osservarla mentre Tivoli mi reclama, mi chiede di portare un po’ del fascino dei monti, dei boschi, dei borghi in città.
Dall’ombelico d’Italia, sono giunto fin qui, e la sentenza della Sibilla non si è fatta attendere: “Hai raccolto altro sole dentro il tuo cuore, ora diffondilo.” Col cuore ringrazio tutti quelli che mi sono stati vicini.
Massimo Bruno Vitale







