L’Alta Via delle Grazie e l’ospitalità dal punto di vista di chi accoglie
L’Alta Via Delle Grazie, cammino ad anello nelle Orobie bergamasche, valorizza l’ospitalità a donativo come parte integrante dell’esperienza del pellegrino, grazie all’impegno di volontari, religiosi e famiglie locali che vivono l’accoglienza come un’esperienza in grado di trasformarli e di viaggiare stando fermi
Quante volte hai letto le testimonianze di chi cammina, e hai raccontato le tue? Quante, chilometro dopo chilometro hai raccolto storie che poi hai riportato a casa? Ma in ogni viaggio e in ogni Cammino c’è anche il punto di vista di chi accoglie e di chi resta. E questo non accade solo nel più famoso Cammino di Santiago de Compostela, dove le esperienze degli hospitaleros si tramandano e diventano storia, per chi era solo di passaggio e per chi ha scelto a sua volta di rimanere, ma anche in Cammini che passano per il nostro Paese. Accade in particolare sull’Alta Via Delle Grazie, Cammino ad anello nelle Orobie bergamasche che si distingue per la presenza diffusa di strutture “a donativo“, gestite cioè da enti religiosi, volontari o privati, in cui gli ospiti invece di pagare per il pernottamento e l’accoglienza una tariffa fissa possono fare donazioni libere, in un’occasione di scambio reciproco.
La missione di Gabriella Castelli
Il Cammino, nato dieci anni fa da un’idea di Gabriella Castelli e Giovanni Battista Merelli, è ispirato proprio a quanto vissuto da loro e da molti altri sulla via per Santiago. Gabriella ha percorso per la prima volta il Cammino Francese nel 2014, travolta a 360 gradi da questa esperienza. «La cosa che mi colpì di più, oltre ai panorami e ai luoghi e a quel modo di incontrarsi senza essere e sentirsi giudicati, è stato questo tipo di accoglienza a donativo, senza aspettative e pretese, come a dire “ciò che ho lo condivido”: è questo il “segreto” che ho cercato di portare anche qui a Bergamo».
Non è stato facilissimo far capire ai bergamaschi, che hanno un’accoglienza spesso meno calorosa di altri, un concetto di ospitalità di questo tipo, racconta Gabriella. «Ci è voluta pazienza, ma si sono accorti che da parte mia trasparivano passione e un vero e proprio amore per il dono e che non c’erano altri interessi». L’esperienza da hospitalera sul Cammino del Nord presso l’Albergue di Guemes di Padre Ernesto è stata fondamentale: tutt’oggi Gabriella, da sola, si “prende cura” senza sosta del Cammino e di chi lo percorre, sempre attenta alla manutenzione, all’organizzazione e, soprattutto, all’accoglienza, con un monitoraggio continuo che passa attraverso i feedback dei pellegrini e di chi ospita.

Il quadrifoglio blu e giallo che trovate in tutta la segnaletica lungo la strada, rappresenta coi suoi petali i pilastri fondanti dell’Alta Via Delle Grazie: l’aspetto naturalistico, l’aspetto culturale e delle tradizioni (l’arte di chiese e musei ma anche la cultura contadina dei magli e quella culinaria), l’aspetto spirituale (si tratta di un cammino dedicato alla Madonna, che passa infatti da 18 santuari mariani) e infine, proprio l’accoglienza, a misura di pellegrino. Il 90% delle strutture sono a donativo e la maggioranza di esse sono religiose, tra santuari, conventi, case parrocchiali, ostelli: Gabriella è riuscita a portare i pellegrini anche dentro il monastero di clausura delle suore Clarisse, che offrono ospitalità per la tappa di Lovere, sul Lago d’Iseo, presso la foresteria. Sempre a Lovere, i pellegrini hanno la possibilità dal 2021 di sostare all’Oasi Capitanio con le suore di Carità, dette di Maria Bambina: cantare i vespri, prima di cena, circondati di mosaici è un’esperienza unica.
«La cosa bella è che i pellegrini accolti oggi sono contenti, ma lo è anche chi li ospita! Per me è il valore aggiunto del Cammino e anzi, proprio ciò che ne fa un Cammino», dice Gabriella. «Per noi, – scrive Nadiamaria, delle Suore Clarisse, – aprire la porta al pellegrino che bussa significa aprirgli uno spazio in cui possa sentirsi a casa, un luogo in cui possa riposarsi e deporre non solo lo zaino che ha in spalla, ma anche il fardello che pesa sul cuore. Insieme, si vive un momento di grazia in cui il Signore si rende presente, si fa riconoscere e ci parla».

Accogliere il pellegrino: il volto umano del Cammino
Dietro ogni porta aperta lungo il cammino c’è una storia. Don Roberto, al Santuario della Madonna del Perello, in Val Serina, prima tappa per chi parte dalla città di Bergamo, racconta come l’accoglienza sia nata da una “spinta” accolta da chi lo ha preceduto nella gestione del Santuario, poi diventata a sua volta missione a partire da un anno fa
«Arrivare in Perello è sempre qualcosa che dà gioia ai pellegrini dopo la faticosa prima tappa – spiega Don Roberto. – Solitamente contatto i pellegrini il giorno precedente, soprattutto se arrivano il sabato e la domenica, giorni in cui devo dividermi fra celebrazioni delle messe, arrivi e incontri». Quando arriva il pellegrino trova sempre qualcosa da bere, di caldo o di freddo a seconda delle stagioni, e qualche biscotto di benvenuto. Capita che qualcuno sia affamato perché non ha trovato nulla lungo il Cammino (anche se è segnalato sulla guida!) e che Don Roberto debba improvvisare un veloce pranzo. «La cosa più bella per me? La cucina! Spesso e volentieri quello che si ricorda è proprio il buon cibo…d’altronde siamo in Italia. E per me una buona cena è la cosa che con più piacere faccio e preparo. Magari non sempre come vorrei, ma con questo desiderio!».
L’accoglienza al Santuario del Perello «si gioca fra attenzione e discrezione, vicinanza e libertà, piccole regole per il buon vivere comune senza opprimere e ingabbiare. Deve essere un’esperienza che tocca cuore e mente e lasci un bel ricordo». I pellegrini arrivano in numero ancora abbastanza contenuto, e questo permette una cura quasi personale di ciascuno, oltre alla possibilità per Don Roberto di un confronto, in alcuni casi, su tematiche spirituali. «Lasciano qui la loro umanità spesso ferita, in un cammino alla ricerca di pace e di riconciliazione. E un rinnovato senso della propria vita. Ed è bello, seppur per poco, farsi loro compagni di viaggio».

Far sentire a casa: l’ospitalità di Lucia e Maurizio a Plazza
La storia di Lucia e Maurizio con il Cammino inizia nella Pasqua del 2025, con me come prima ospite pellegrina insieme al loro cane Yoj. La loro casa si trova a Plazza, in Val del Riso, poco distante dal Santuario del Frassino, che segna la fine della terza tappa. «Avendo acquistato qualche anno fa una casa sul percorso dell’Alta Via Delle Grazie, ci ha entusiasmato subito l’idea di accogliere i pellegrini, ma abbiamo aspettato che io andassi in pensione e fossi più libera da impegni». La coppia, che si conosce dai tempi dell’oratorio, ha poi contattato Gabriella dopo aver visto una presentazione del Cammino: si sono sentiti subito in sintonia con lo spirito di collaborazione di chi era già coinvolto, e così è nata la loro avventura.
In una deliziosa casa circondata da colline erbose dove il loro cane può correre e da un orto curato con amore, vista montagne, i pellegrini vengono accolti nella camera destinata ai figli. «I principi dell’ospitalità – racconta Lucia, – per noi sono l’apertura all’incontro e il dono di ciò che abbiamo. La cosa più bella è far sentire chi viene a proprio agio, seppur lontano da casa, e conoscere persone diverse, aperte a condividere con noi qualcosa della loro vita». Io con loro ho condiviso il mio percorso, le mie speranze e i punti di vista in comune coi loro figli, di cui mi hanno parlato a lungo.
Da Plazza in questi mesi sono passate persone di vario tipo: più o meno giovani, amanti della montagna, in “cammino” sotto ogni punto di vista, con la voglia di scoprire cose nuove, italiani e stranieri. Tutte arrivano come sconosciute, «ma subito si crea un certo clima e a tavola è facile “aprirsi” e conoscersi», soprattutto davanti al cibo ottimo che Lucia prepara: per me è stato bellissimo darle una mano e condividere poi il frutto del nostro lavoro con suo marito e con Gabriella, passata a trovarci. «Quando vanno via, i pellegrini lasciano un “grande vuoto”: questo esprime quanto sia intensa l’esperienza reciproca dell’incontro e dello scambio».

“Metti una sera un pellegrino a cena”: quando l’accoglienza è diffusa
A Parre, in Valseriana, quarta tappa per chi percorre l’Alta Via Delle Grazie, il parroco ha aderito al piano di accoglienza dal primo anno in cui il Cammino è stato inaugurato, nel 2018. «I pellegrini portano la loro storia, il desiderio di scoprire il nostro territorio, di incontrare chi li ospita e altri pellegrini, così ci organizziamo al meglio per mettere a disposizione un tetto, con tutto quello che possiamo offrire». Una cucina con una grande tavolata, 14 posti letto, 2 bagni, la lavatrice. L’ex appartamento del curato, adiacente l’oratorio, viene utilizzato tutto l’anno dalla comunità per incontri, attività con gli adolescenti, riunioni, e viene messo a disposizione dei pellegrini insieme alle informazioni sul territorio, affinché sia, innanzitutto, una casa. E infatti si chiama “Casa Giovani”.
In occasione dell’estate di quest’anno Don Andrea ha avuto un’idea per aprire la comunità locale all’accoglienza, e tornare a renderla diffusa: “Metti una sera un pellegrino a cena”. L’idea nasce un po’ per caso, dalla sua lunga esperienza di pellegrino, in cui ha visto spesso hospitaleros organizzati per accogliere in casa propria e condividere la cena con i pellegrini. «Inizialmente riuscivamo a farlo noi; poi, quando non ci è più stato possibile, abbiamo lasciato che ognuno si organizzasse come meglio credeva, con una cena autogestita in cucina, o presso pizzerie e ristoranti locali».
Chiacchierando, è nata l’idea di coinvolgere ulteriormente la comunità proponendo un gesto molto semplice e immediato: ospitare un pellegrino a cena. «È il modo più immediato per coinvolgerli, permettere loro di gustare un po’ un clima di casa e di far accadere qualcosa che poi è un incontro». E ora gli abitanti di Parre fanno a gara! «Teniamo un tabella condivisa in cui man mano mettiamo i nomi di chi arriva (e che lingua parla): chi ha voglia contatta la segreteria della parrocchia e si mette a disposizione, segnandosi per la data della cena. Chiediamo ai pellegrini che arrivano a loro volta se hanno piacere di vivere questa esperienza, e lasciamo a loro la libertà di scegliere come vivere la sera in cui sono ospiti da noi».

Camminare restando fermi: l’accoglienza come esperienza trasformativa
A Novazza, arrivo della quinta tappa dalla partenza di Parre, i fratelli Amedeo e Anna Serena ospitano i pellegrini nella storica casa di famiglia, costruita oltre cent’anni fa dal nonno, con fatica. “Ca’ Rosèi”, raccontano, ha sempre ospitato: dai villeggianti d’estate, ai minatori di uranio della montagna appena sopra il paese, ai rifugiati di guerra fuggiti da Kharkiv nel 2022. Per loro accogliere è rispondere a una chiamata. Citando il Vangelo e l’Angelus del Papa del 20 luglio 2025, parlano di una «responsabilità che è apertura all’altro». La cena condivisa, la visita alla chiesa di San Michele, la contemplazione degli affreschi nel cimitero: ogni gesto è un passo nel cammino spirituale dell’accoglienza e occasione di dialogo. «Ogni pellegrino che arriva lascia un’impronta: arriva come uno sconosciuto, e se ne va da fratello».
La loro esperienza con il Cammino inizia nel 2018, con un incontro tra Amedeo e Gian Battista e Gabriella: «Erano alla ricerca in zona di una struttura per l’ospitalità del Cammino a Gromo: al bar, Amedeo disse loro di avere una casa adatta, ma a Novazza, e li invitò a vederla. Accettarono subito!», racconta Anna Serena. Ad accogliere i pellegrini c’è anche la madre, Maria, stupita che le persone scelgano di camminare per ore e ore su quelle strade che lei ha percorso tante volte a piedi senza avere alternative di trasporto.
«Responsabilità è una parola che ci piace molto, perché significa rispondere a una chiamata, a qualcuno che ti cerca. Cito Papa Leone XIV, quando commentando il Vangelo degli “ospiti alla casa di Betania” dice letteralmente: “Ci vuole umiltà sia a ospitare sia a farsi ospitare”. Occorrono delicatezza, attenzione, apertura. Occorre uscire da sé». E ascoltare. Chi cammina può avere mille motivi e obiettivi: «Da chi arriva con il rosario in mano, a chi invece trova nella natura un momento di ristoro, di recupero, a chi ha il desiderio di andare nel profondo di sé. Qualsiasi sia il motivo per cui uno cammina, è nell’incontro e nel dialogo che si chiarisce: la vita è camminare insieme per vivere meno superficialmente e aiutarsi a prendere coscienza e l’ho capito soprattutto parlando con le donne forti e decise che camminano da sole».

Un Cammino costruito sulle relazioni
L’Alta Via Delle Grazie è più di un itinerario tra santuari e montagne: è un’esperienza costruita sulle relazioni. Le storie di chi accoglie raccontano un Cammino in cui la distanza percorsa non si misura solo in chilometri, ma nella disponibilità a condividere, ascoltare e mettersi in gioco. Un modo diverso di restare, che dà senso al passaggio degli altri.
È da poco uscita la ristampa aggiornata della guida, pubblicata da Terre di Mezzo Editore.
Qui, invece, il sito ufficiale del Cammino, con variante breve da 7 giorni o completa da 13 tappe, e il profilo Instagram ufficiale.