Cecilia Mercadante e il Rifugio Mezzalama: trovare un posto nel mondo a 3mila metri
Cecilia Mercadante, rifugista per il quarto anno consecutivo al Rifugio Ottorino Mezzalama in Valle D’Aosta, ci ha raccontato di come ha ritrovato sé stessa in alta quota, lontana dal caos cittadino, ma mai davvero isolata
Dal lavoro nella ristorazione Milano ai 3036 metri slm del Rifugio Ottorino Mezzalama, in Valle d’Aosta: la storia di Cecilia Mercadante, che lo gestisce per il quarto anno consecutivo, è un viaggio da un insostenibile tempo determinato al «cambiamento più bello che abbia mai fatto». In questa intervista, la rifugista originaria di Altamura, in Puglia, al capo opposto dell’Italia, racconta cosa significa vivere e lavorare nei mesi estivi in un rifugio d’alta quota, tra sveglie alle 3 del mattino, fatiche a volte invisibili, gratitudine e la scoperta di un’umanità e di un’identità che andrebbero perse nel marasma cittadino. Quando si sceglie di ascoltarsi davvero e di rischiare, si finisce, quasi per caso, nel luogo giusto.

Il Rifugio Mezzalama e Cecilia Mercadante
Quando hai iniziato a camminare?
Non avendo mai avuto la macchina, ho sempre camminato molto, sia ad Altamura, la città in cui sono nata e cresciuta, sia a Milano. Avevo progettato di compiere nell’aprile 2020 il Cammino di Santiago, ma il Covid mi ha bloccato. Così sono partita a giugno per il cammino Materano ed è stata una bellissima scoperta. Camminare nelle campagne, da sola, è molto diverso dal farlo in città: mi ha dato subito un senso di libertà e ho scoperto che riuscivo ad ascoltarmi.
Quando è cominciata la tua avventura in rifugio?
A febbraio 2021 ho lasciato Milano, sapevo che la natura avrebbe fatto bene al mio umore in un periodo difficile: avrei voluto andare in Nuova Zelanda, ma ancora il Covid ha cambiato i miei piani, e sono arrivata in Valle d’Aosta. Dopo una brevissima esperienza come lavoratrice stagionale in una località di mare in Toscana, da cui sono scappata, una mia amica mi ha detto che in un piccolo hotel a gestione familiare di Champoluc, in Val d’Ayas, cercavano personale: ho chiamato la proprietaria, l’ho raggiunta e ho iniziato subito. Ero già stata in montagna sporadicamente (con le scarpe sbagliate!) e quell’estate l’ho scoperta in solitaria, facendo tutto il possibile per conoscere la zona nel poco tempo libero che avevo. Sentendone parlare spesso, avevo il sogno di raggiungere il Rifugio Mezzalama, ma dall’albergo il tragitto era molto lungo e non ero sicura di farcela nel poco tempo a disposizione. A settembre, un giorno, dopo aver terminato il turno di pranzo, sono partita e salita in tempo record. Arrivata alla meta alle 4 di pomeriggio, ho fatto una foto senza nemmeno entrare e sono scesa di corsa, un po’ agitata, temendo l’arrivo del buio e del maltempo. Un signore stava scendendo poco dietro di me, abbiamo iniziato a camminare insieme e chiacchierare: mi ha raccontato della vita in rifugio e gli ho parlato del mio interesse, anzi, sogno, di lavorare ad alta quota. Arrivati a valle ci siamo presentati: era Maurizio, gestore del Mezzalama! Mi ha lasciato la sua mail: a gennaio 2022 gli ho scritto, sperando non si fosse dimenticato di me, e quell’anno ho cominciato. Sono al quarto anno, è il posto in cui ho lavorato più a lungo, e lo amo moltissimo.

Il Rifugio Mezzalama, foto di Cecilia Mercadante
Un rifugio storico della Valle d’Aosta
Mi racconti il Mezzalama?
È un rifugio storico della Valle d’Aosta, costruito nel 1034 sulle Alpi Pennine, vicino a un ghiacciaio che negli anni si è ritirato, e poi ampliato nel 1980. Negli anni ‘90, 400 metri più in alto, ne è stato costruito un altro che è diventato un rifugio alpinistico, con 80 posti letto. Quando è pieno, gli alpinisti vengono da noi – e oltre a loro accogliamo gli escursionisti. Il Mezzalama è vecchio stampo, ed è bello per questo: non è un hotel in alta quota, si dorme in una camerata unica con 36 posti, non c’è doccia, i bagni sono esterni e l’ambiente familiare.
Qual è la sua particolarità di rifugio?
La sua anima. È magico: quando entri, senti che c’è qualcosa, una certa energia, dovuta alle tante storie e persone che sono passate di qui. La sento io, che ci passo molto tempo, ma anche chi viene qui come ospite. Io lo chiamo il vecchietto sgangherato, ha quasi 100 anni. Quando ci sono le tempeste gli do una pacca sui muri, per aver resistito per l’ennesima volta.

Il Rifugio Mezzalama all’interno, foto di Cecilia Mercadante
La vita al Rifugio Mezzalama
Di cosa ti occupi?
Seguo la gestione di tutto, tra inventari, ordini via elicottero, cucina, prenotazioni. Ho la responsabilità di tutto, ed è come se mi sentissi destinata a questo luogo, in cui sto da giugno alla prima metà di settembre. A lavorare qui siamo in due o tre, tutte donne – tranne in alcuni momenti in cui c’è il mio fidanzato, che viene per dare una mano. Il primo mese c’è con me Martina, che poi si sposta in un altro rifugio, e poi arrivano Miriam e Cecilia.
Com’è la tua giornata?
Può iniziare anche alle 3 del mattino con le colazioni degli alpinisti, poi si torna a dormire. Gli escursionisti si svegliano verso le 6 o le 7. Finito il turno delle colazioni si comincia con le persone di passaggio che fanno trail, e non c’è quasi tempo di lavare il bagno, perché poi si passa alla preparazione dei pranzi a mezzogiorno, dopodiché c’è l’accoglienza di chi si fermerà per la notte. Dopo la cena alle 22 si mandano tutti a letto – anche se gli alpinisti di solito sono già a letto alle 20.30.
Qual è la cosa che ami di più di stare lì?
Il fatto di essere lontana. Non tanto dalla società, perché la gente arriva anche qui, ma dalla quotidianità, dalla normalità, dalle temperature a valle. Qui qualsiasi cosa è diversa. Provo amore per questo luogo, per quello che vivo e per la soddisfazione che dà preparare una zuppa calda per le persone che arrivano qui distrutte.
Quale è la più difficile?
La gestione di qualsiasi problematica in un posto così vecchio: dal tubo che si intasa al telefono che non funziona, ogni problema diventa più grande, perché devi cercare di cavartela da solo e aggiustare da te. Prima che arrivi qualche tecnico può passare anche più di una settimana, quindi impari a fare tutto: sei idraulico, elettricista e cuoca. L’anno scorso ho sistemato io stessa i fili elettrici del telefono, in video chiamata con il tecnico! Dietro alla gestione di un rifugio c’è un mondo che nemmeno io immaginavo. Per questo chiedo sempre di essere gentili con chi lavora.

Il Rifugio Mezzalama e Cecilia Mercadante
Gli avventori del Rifugio
Chi frequenta il Mezzalama?
Ci sono clienti fissi, che tornano ogni anno, anche più volte! Ho conosciuto un sacco di gente in queste quattro stagioni, con molti sono rimasta in contatto. Tra giugno e luglio ci sono soprattutto gli alpinisti che vanno verso il Monte Rosa, ad agosto arrivano invece gli escursionisti e purtroppo anche persone un po’ meno preparate. Il problema principale è la loro non consapevolezza nei confronti di chi lavora tutto il giorno, con richieste a volte assurde – e a volte la maleducazione. Gli stranieri sono molto educati: le guide alpine addirittura sparecchiano e ti propongono di aiutarti a lavare i piatti! In generale, comunque, arriva gente bella: il primo anno, reduce dal lavoro a Milano e negli hotel, ero molto stupita, anche solo dal fatto che qui mi chiedessero il mio nome, dandomi un’identità e nutrendo curiosità nei miei confronti.
Cos’è che chi viene porta al rifugio, che altrimenti andrebbe perso?
La frutta o le brioche, che spesso ci portano in regalo! Ne vediamo poche, quando arriva l’elicottero. I primi giorni abbiamo viveri freschi e di prima qualità, ma finiscono dopo due settimane. Sono le piccole gioie da rifugista, beni quotidiani e scontati quando torni a valle, che qui mi fanno sentire felice. Anche il panorama: vedo lo stesso da quattro estati, ma ogni volta mi rendo conto di quanto sono fortunata di essere circondata di bellezza e da un’immensità che tuttora mi emoziona. E poi qui emerge l’umanità delle persone, che in città si perde. Quando arriva qualcuno di stanco e affamato viene spontaneo prendersene cura e anche questo mi dà gioia.

La vista dal Rifugio, foto di Cecilia Mercadante
Vivere in montagna, lontano da tutto
Come vivi l’isolamento nei giorni in cui ci sono pochi ospiti?
A volte vorrei ci fossero giorni in cui non passa nessuno… Ma la gente, soprattutto quella meno esperta, ormai si muove anche con il maltempo, e arriva sotto un temporale, in pantaloncini a 3mila metri. Quando capita una giornata più scarica leggo un libro, mi rilasso riposo a letto. Scrivo, dipingo.
Com’è cambiato il tuo rapporto con la montagna da quando vivi qui?
Ho più consapevolezza, soprattutto della sicurezza: so di avere una responsabilità verso gli altri, nel dare informazioni corrette e la giusta accoglienza. Provo tanto rispetto per il luogo che ci ospita e a volte anche un po’ di tristezza, perché mi rendo conto che il caldo è arrivato anche qui: spesso siamo in maniche corte; la cascatella che sgorgava a luglio c’è già a giugno – l’anno scorso è durata un mese, quest’anno è già finita; il piccolo ghiacciaio di Verra si restringe sempre di più. Il cambiamento climatico ce l’hai in faccia, e fa pensare. E qui si vede anche l’inquinamento: sulle pietraie raccolgo vecchie latte degli anni ‘70-’80 e mi rendo conto di quanto la montagna sia stata maltrattata.
Non sono ancora stata al Rifugio Ottorino Mezzalama e spero di poterlo fare entro la fine della stagione, per portare a Cecilia e alle ragazze che lavorano con lei frutta, una brioche e un po’ di umanità dalla valle. Nel frattempo, se volete seguire le sue avventure al Rifugio, potete farlo al suo profilo Instagram.