Immagina di affrontare un cammino in Himalaya senza GPS, senza scarponi tecnici, senza pile termiche o tende ultraleggere. Solo un cappotto di lana, scarpe di cuoio e uno zaino costruito con una sedia di vimini.
Sembra follia? Forse. Ma è esattamente ciò che ha fatto Elise Wortley, un’esploratrice britannica che ha deciso di camminare non solo nello spazio, ma anche nel tempo.
Camminare per riscrivere la storia
Elise Wortley non è un’alpinista in cerca di record. È una camminatrice che ha scelto di rivivere le orme dimenticate delle grandi esploratrici del passato, quelle donne che hanno aperto strade nel mondo, e che la storia ha quasi completamente ignorato.
Nata a Colchester, nel sud dell’Inghilterra, Elise ha iniziato a viaggiare per combattere l’ansia. Aveva poco più di vent’anni quando si è resa conto che i libri di avventura che la ispiravano da bambina, le storie di esploratori e pionieri, erano quasi esclusivamente maschili.
Così, nel 2017, ha fondato il progetto “Woman With Altitude”, con un obiettivo semplice ma potente: ripercorrere i viaggi delle esploratrici dimenticate, vestendone i panni… letteralmente!
Il sogno ispirato da Alexandra David-Néel
Tutto comincia con un libro: Viaggio di una parigina a Lhasa di Alexandra David-Néel, la prima donna occidentale ad entrare nella città proibita del Tibet nel 1924. Elise lo lesse da ragazza, e da allora non l’ha più dimenticato.

Nel 2017 decide di seguire il suo esempio. Parte per il Sikkim, nell’Himalaya indiano, e percorre a piedi il tragitto che David-Néel fece un secolo prima: da Lachen fino al campo base del Kangchenjunga, la terza montagna più alta del mondo.

Lo fa senza alcuna attrezzatura moderna: indossa un cappotto d’epoca, scarpe di pelle, un cappello di feltro, e porta uno zaino di legno costruito con una vecchia sedia. Dorme in tende di cotone e si affida alle popolazioni locali per orientarsi.
L’impresa dura settimane, tra bufere di neve e temperature sotto lo zero. Ma Elise dice che l’obiettivo non era “dimostrare qualcosa”, bensì “sentire sulla propria pelle come viaggiavano quelle donne”. E in effetti, l’esperienza diventa un viaggio nel tempo, più che nello spazio.
Sulle orme di Nan Shepherd e Freya Stark
Dopo l’Himalaya, Elise prosegue con altre due spedizioni simboliche. Nel 2019 cammina nelle Cairngorms, in Scozia, seguendo i sentieri di Nan Shepherd, autrice del libro The Living Mountain.

Anche qui rinuncia a ogni comodità moderna: niente GPS, niente tessuti tecnici, solo abiti di lana e una mappa di carta. L’esperienza la porta a riscoprire il ritmo lento del cammino, l’attenzione ai dettagli, la connessione profonda con la natura.
Nel 2022 guida invece un gruppo di donne attraverso la Valle degli Assassini, tra i monti Alborz in Iran, ripercorrendo il viaggio di Freya Stark, una delle più grandi esploratrici britanniche del Novecento. Il progetto coinvolge guide locali e artigiane iraniane, che hanno contribuito a ricreare gli abiti e gli oggetti di viaggio originali.

Anche in questa occasione Elise cammina come si faceva negli anni Trenta, dimostrando che la lentezza può essere una forma di libertà.
Una nuova idea di cammino
Le avventure di Elise Wortley non hanno nulla a che fare con la competizione. Il suo cammino non è una sfida fisica, ma una ricerca culturale e simbolica. Ogni viaggio è un esperimento di empatia: rimettersi nei panni di chi ha aperto la strada, capire le difficoltà, l’isolamento, la forza interiore necessaria a partire quando il mondo non ti voleva in cammino.
Il progetto “Woman With Altitude” è anche un atto politico: mostrare che la storia dell’esplorazione non appartiene solo agli uomini. Le imprese di donne come Alexandra David-Néel, Nan Shepherd e Freya Stark non erano minori, solo meno raccontate. Camminando nei loro passi, Elise le riporta al centro della narrazione.
Una camminatrice del presente che dialoga col passato
Elise Wortley rappresenta una nuova generazione di viaggiatrici che usano il cammino come forma di narrazione. Non cerca di battere record o di conquistare spazi, ma di restituire voce e memoria a chi quei cammini li ha aperti per prima.
In un mondo dove tutto è tracciato, documentato e condiviso, la sua scelta di tornare ai materiali grezzi, alla lentezza e al silenzio è un invito a riscoprire l’essenza stessa del viaggio.
Camminare, per lei, è un atto di connessione, con la natura, con la storia e con se stessi. E ogni suo passo ci ricorda che il modo in cui percorriamo il mondo può essere più importante della meta.
