Curiosità
14 Gen 2025

Walter Bonatti: la storia di un alpinista leggendario e le sue grandi imprese

Walter Bonatti è una delle figure più emblematiche nella storia dell’alpinismo. La sua vita e la sua carriera sono un esempio di determinazione, passione e ricerca di sé, tanto che oggi Bonatti è considerato uno dei più grandi alpinisti di tutti i tempi.

Mario De Biasi (Mondadori Publishers), Public domain, da Wikimedia Commons

Dalle sue prime esperienze in montagna alle incredibili spedizioni in solitaria, passando per il leggendario episodio sul K2 e il suo ritiro per intraprendere la carriera di reporter, la vita di Bonatti è un viaggio straordinario che merita di essere raccontato nei dettagli.

La giovinezza di Walter Bonatti: dalle origini a una passione inaspettata

Walter Bonatti nacque il 22 giugno 1930 a Bergamo, in Lombardia. Cresciuto in un ambiente urbano, Bonatti non aveva un legame diretto con la montagna nelle prime fasi della sua vita. Come spesso raccontava, il suo approccio iniziale allo sport fu legato alla ginnastica. Bonatti si avvicinò a questa disciplina non per una particolare passione, ma perché molti dei suoi amici la praticavano. Tuttavia, fu proprio questa esperienza che gli permise di sviluppare una straordinaria resistenza fisica, un’agilità e una coordinazione che sarebbero diventate fondamentali per la sua carriera alpinistica.

La montagna esercitava su Bonatti un fascino irresistibile. Era un sogno che covava dentro di sé fin da giovane, ma che solo più tardi sarebbe diventato una realtà. La vera passione di Bonatti per l’alpinismo iniziò a manifestarsi concretamente quando aveva circa 17 anni, con la sua prima esperienza di scalata. Ben presto, capì che quella passione per la montagna sarebbe diventata la sua vita.

Giorgio Redaelli Re del Civetta, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, da Wikimedia Commons

L’avvicinamento all’alpinismo: la decisione di trasferirsi in montagna

Nel 1950, Bonatti prese una decisione che cambiò per sempre il corso della sua vita: lasciò il posto fisso che aveva come impiegato in una ditta a Milano e si trasferì a Courmayeur, ai piedi del Monte Bianco, per dedicarsi completamente all’alpinismo. Sebbene avesse una carriera stabile, il giovane Bonatti non riusciva a conciliare la sua vita professionale con la passione per le montagne, un amore che non poteva più tenere dentro di sé. Così, decise di seguire il suo cuore e intraprendere una vita da alpinista, accettando tutte le incertezze e i sacrifici che una scelta del genere comportava.

Il trasferimento in montagna fu per Bonatti una sorta di “rinascita”. A Courmayeur, cominciò a vivere in simbiosi con la montagna, allenandosi duramente e cercando di farsi un nome nel mondo dell’alpinismo. La sua passione lo portò a raggiungere vette sempre più alte, acquisendo un’esperienza che lo avrebbe portato a diventare uno dei migliori alpinisti della sua generazione. La prima parete a portare il suo nome fu la parete est del Grand Capucin, un obelisco di granito rosso nel gruppo del Monte Bianco, mai scalato prima, che lui riuscì a conquistare nel 1951.

La spedizione sul K2: l’epico contributo alla storia dell’alpinismo

Una delle tappe più significative nella carriera di Bonatti fu la spedizione sul K2 del 1954, la seconda montagna più alta del mondo. A soli 24 anni, Bonatti era il più giovane della spedizione italiana al K2, guidata dal comandante Ardito Desio. Durante quella spedizione, Bonatti divenne protagonista di un episodio che sarebbe stato parte integrante della sua leggenda.

Nel corso dell’ascensione, Bonatti aveva il compito, insieme allo sherpa nepalese Mahdi, di portare ossigeno e altri materiali ai compagni che avrebbero raggiunto la vetta, ma le cose andarono male. Quando la coppia raggiunse il punto che avevano pianificato, la situazione divenne drammatica. Bonatti, che si trovava ad altitudini superiori agli 8000 metri, non trovò il campo degli amici nel punto stabilito. Non potendo né continuare, né scendere, fu costretto ad affrontare la notte all’aperto, senza alcuna protezione. Nonostante l’improvvisa difficoltà, Bonatti riuscì a sopravvivere e a scendere in sicurezza. Il compagno Mahdi non ebbe la stessa fortuna, e gli vennero amputate diverse dita di mani e piedi.

Bonatti venne accusato dai compagni di aver usato l’ossigeno a loro destinato e questo avvenimento lo segnò profondamente, minando la sua fiducia nei confronti dell’essere umano e portandolo a preferire in molte occasioni la natura e la solitudine. Solo molti anni dopo la verità venne a galla e la sua versione venne confermata, riabilitando il suo nome.

Uncredited but provided by Centro Documentazione Museo Nationale della Montagna., Public domain, da Wikimedia Commons

Le grandi imprese di Bonatti: dalla traversata sci-alpinistica alle vette impossibili

Oltre alla storica spedizione sul K2, Bonatti compì numerose altre imprese che lo segnarono come un alpinista unico. Una delle sue imprese più celebri fu la traversata sci-alpinistica delle Alpi, realizzata nel 1961. Questa traversata, che durò ben 32 giorni, lo vide percorrere circa 500 chilometri attraverso le Alpi, sciando su un dislivello di oltre 15.000 metri. L’impresa richiese una resistenza fisica fuori dal comune, un’indole solitaria e un’incredibile capacità di adattarsi a situazioni difficili e imprevedibili.

Un altro passo fondamentale della sua carriera fu la salita al Monte Kineo, una delle vette più difficili e remote delle Alpi, ma la vera leggenda di Bonatti si concretizzò nel suo rapporto con il Petit Dru. Nel 1955, solo un anno dopo il K2, Bonatti affrontò una delle ascensioni più dure e audaci della sua carriera: il pilastro Sud-Ovest del Petit Dru.

La montagna, una delle più iconiche della catena del Monte Bianco, era conosciuta per la sua parete ripida e la sua difficoltà. Bonatti, in solitaria, affrontò questa ascensione con un coraggio e una capacità tecnica straordinari. La salita al Petit Dru fu una delle sue scalate più pericolose, ma anche una delle più significative, sia dal punto di vista tecnico che emotivo. Bonatti si spinse oltre i limiti della sua stessa resistenza, riuscendo a compiere un’impresa che fu celebrata come una delle più grandi conquiste dell’alpinismo moderno.

Carlo Mauri, Public domain, da Wikimedia Commons

Il ritiro: la vita da reporter

Nel 1965, dopo anni di avventure mozzafiato e scalate leggendarie, Bonatti decise di ritirarsi dall’alpinismo di alta quota. Aveva solo 35 anni e decise di lasciare l’alpinismo con una ultima grande impresa: scalare la parete nord del Cervino, in inverno, lungo una via diretta mai percorsa prima. Riuscì anche in quella straordinaria avventura, dopo quattro notti in parete.

Bonatti intraprese una carriera come reporter. Discese torrenti in Alaska, scalò la montagne africane ed esplorò la fitta giungla del Rio delle Amazzoni. Documentò le sue imprese realizzando reportage fotografici, che venivano poi pubblicati. Particolarmente importante fu la sua collaborazione con la rivista “Epoca”.

Le sue storie e fotografie non solo catturavano la bellezza dei paesaggi, ma trasmettevano anche il suo spirito esplorativo e il suo amore per la natura incontaminata. Questa fase della sua vita dimostrò come Bonatti riuscisse a reinventarsi, mantenendo vivo il suo desiderio di avventura e di contatto con il mondo naturale.

Conclusione: Walter Bonatti, un mito vivo

Walter Bonatti ha lasciato un’eredità che va ben oltre le sue imprese alpinistiche. La sua vita rappresenta il viaggio di un uomo che ha dedicato tutto se stesso alla ricerca di sfide interiori e alla contemplazione del mondo naturale. Non solo un alpinista, ma anche un grande reporter e un uomo che ha sempre vissuto secondo i suoi principi. Oggi, più di cinquant’anni dopo le sue imprese, Bonatti continua a ispirare alpinisti, fotografi e sognatori di tutto il mondo.

Articolo di
Marta Fasolo

Umile escursionista che ama fare cose nuove 🧗‍♀️
Viaggio in Italia e vivo a Maiorca🏝️
📽️ Racconto storie per @cammini_ditalia