Diario Cammino del Gran Sasso di Riccardo (Rock in Nature)
Oggi condividiamo il Diario del Cammino del Gran Sasso di Riccardo (Rock in Nature) che ci racconterà tutta la sua avventura nel dettaglio. Buona lettura!
Visibilità ZERO!
La nostra avventura inizia con le peggiori condizioni che qualunque camminatore si possa augurare.
Il caldo martellante di luglio e agosto s’interrompe bruscamente investendo tutta l’Italia con forti precipitazioni e vento. Io e Sara siamo in viaggio verso Fonte Cerreto, ai piedi del Gran Sasso, punto di partenza del Cammino.
La traversata di Campo Imperatore, infatti, è la protagonista della prima delle quattro tappe con cui completeremo il Cammino del Gran Sasso e si snoda per 22 km raggiungendo Castel del Monte.
Eccoci alle dieci di mattina al bar La Villetta a Fonte Cerreto per fare colazione, ritirare la credenziale e prepararci a prendere la funivia per Campo Imperatore. Il meteo non è clemente, ma ci siamo detti di essere pronti al peggio, attrezzati di tutto punto per non risultare delle pezze bagnate dopo cento metri. Butto un occhio verso i piloni della funivia, cercando una rassicurazione che non arriva. Visibilità zero.
Al momento di pagare faccio le classiche due chiacchiere lasciando detto dove vado, ma appena nomino Campo Imperatore vengo interrotto da un preoccupato:-“No! Non andate!“
A Campo Imperatore era in corso una vera e propria bufera e la copertura delle nuvole avrebbe reso il paesaggio un’enorme distesa di nebbia. A questo punto prevale il buon senso e prendiamo l’unica decisione sensata. Ci tratterremo un giorno in più.
Le previsioni per i giorni seguenti andavano a migliorare sempre di più fino ad un bellissimo weekend e così, invece di ritardare la partenza, decidiamo di partire dalla seconda tappa e recuperare la prima l’ultimo giorno.
Ripartiamo in macchina in direzione Castel del Monte, attraversando anche parte di Campo Imperatore, che fortunatamente non ci spoileriamo, data la nebbia densa e la pioggia fitta.
Il borgo di Castel del Monte è molto evocativo. Edifici in pietra quasi mimetizzati con lo sfondo nuvoloso disegnano il profilo del borgo medievale. Un’unica strada principale percorribile in auto è decorata di drappi neri e scope di saggina. Scopriamo che Castel del Monte è conosciuto come il borgo delle streghe e “Ru rite del re sette sporte” che fa parte della tradizione, serviva ad esorcizzare la paura delle streghe avvezze a prosciugare la vita dei neonati.
Passeggiando per il borgo passa questa prima giornata, un po’ inconcludente dal punto di vista del cammino, ma che ci ha consentito di riprogrammare la settimana e risollevare l’umore con il buon cibo e ospitalità.
Si parte!
Finalmente zaino in spalla. Dopo una bella colazione, la foschia mattutina che non faceva ben sperare, si dirada, rivelando per la prima volta il paesaggio davanti Castel del Monte.
Vediamo gran parte del percorso che faremo oggi, fino al castello di Rocca Calascio e oltre. Abbiamo deciso che accorperemo due tappe, quella che da Castel del Monte porta a Rocca Calascio di circa 9 km e la successiva che porta con altri cinque a Santo Stefano di Sessanio.
Il meteo in miglioramento ci da una bella carica e ci allontaniamo dal borgo incontrando le prime targhette del cammino, con distanze e tempistiche.
Il cammino del Gran Sasso è iniziato.
I primi passi sul sentiero ci regalano subito una vista spettacolare sugli altri massicci abruzzesi, come il Sirente e la Majella, ma soprattutto l’immediata percezione di trovarci in un luogo dove uomo e natura hanno una connessione molto antica. Vecchie strutture ora abbandonate sono sparse ai margini dei campi, muretti a secco coperti dalla vegetazione e ampie zone di pascolo, raccontano molto sul passato di questo territorio.
Mentre siamo alle prese con una discesa un po’ scivolosa, iniziamo a sentire cani abbaiare. “Tranquilli è buono!” Sono le parole che ci raggiungono insieme ad un meticcio bianco e nero, l’unico del gruppetto di cani a non fiatare. Qui facciamo il primo incontro del cammino, con Bernardino che ci racconta un po’ dei problemi di randagismo e di come dal terremoto del 2009 si dedichi giorno e notte ai suoi animali, cani e gatti trovatelli ai quali ha dato una casa e l’amore di una famiglia. Ci da anche alcune indicazioni sui passaggi successivi del cammino.
Dopo la chiacchierata riprendiamo a camminare superando velocemente un lungo tratto su una strada vicinale tra i campi e balle di fieno, prima di tornare su una traccia più sconnessa che porta al laghetto di Calascio alla base di un piccolo valico per la strada del paese. Siamo quasi arrivati a fine tappa, ma ci aspetta una bella salita verso Rocca Calascio, sotto il sole dell’ora di pranzo. Appena arrivati al borgo medievale il primo pensiero va al cibo.
Gli antichi edifici medievali ospitano ristoranti, bar e locande. Per toglierci dall’imbarazzo del dubbio scegliamo di mangiare alla Taberna di Rocca Calascio, consigliata sulla guida del Cammino.
Questi primi nove chilometri non sono stati particolarmente faticosi, ma avendo davanti ancora mezza giornata e soltanto altri cinque chilometri da percorrere, ci prendiamo tutto il tempo per gustare il pranzo e un po’ di relax, all’ombra di uno stretto vicolo.
Piatti puliti, bicchieri vuoti e timbro sulla credenziale. Ripartiamo per raggiungere il famoso castello di Rocca Calascio, forse uno dei luoghi più fotografati d’Abruzzo.
Da qui a 1400 metri di quota si ha una vista completa del massiccio del Gran Sasso sul versante aquilano. Il Monte Camicia e il Prena si mostrano timidamente dietro un velo di nuvole, ma il Corno Grande, simbolo del cammino, non sembra avere le stesse intenzioni. Il meteo in generale sembra peggiorare. Le nuvole basse e scure corrono veloci sui vasti pianori che da quassù possiamo osservare a perdita d’occhio e l’alternanza che creano, di spazi illuminati e in ombra, rende ancora più maestosa la grandezza che ci circonda.
Mi appare evidente l’importanza di questo luogo nel passato. Una porta per il Gran Sasso e le risorse di pascoli e terra che ha da offrire. In effetti questo luogo è stato al centro di tanti scontri per il controllo della zona ed è passato di mano in mano, decretando la sorte di questi territori. Percorrendo l’inizio della tappa successiva, in direzione Santo Stefano, troviamo molti resti di strutture agricole e di appoggio per pastori e agricoltori, lungo un interminabile traverso affacciato sulla valle.
Le prime gocce d’acqua arrivano spinte dal vento. I merli della torre medicea di Santo Stefano di Sessanio compaiono dietro una collina; siamo praticamente arrivati.
Giusto il tempo di completare il check in al b&b “Nonno Severino” e viene già un acquazzone incredibile che abbatte pure la temperatura di parecchio rendendo necessari pile e piumini per passeggiare nel borgo a pioggia finita. Comunque coprirsi con le prime giornate fresche di fine estate è sempre piacevole per me, una coccola che non vedo l’ora di potermi concedere. In più si sa, i tramonti nel cielo che si riapre dopo un temporale sono sempre magici.
Proprio con le ultime luci facciamo un primo giro del borgo, un intrico incredibile di passaggi, vicoletti coperti da arcate di pietra, saliscendi su vari livelli di abitazioni, botteghe, cantine, che regalano una volta un affaccio sulla natura circostante, una volta su un giardinetto interno pieno di fiori, un’altra sulla torre. La mancanza totale di segnale ci costringe ad esplorare alla vecchia maniera, mentre cala il sole sulla prima giornata di cammino.
A proposito, abbiamo intervistato Riccardo anche in un podcast. Ascoltalo su Spotify!
Cicatrici
Il risveglio da “Nonno Severino” è lento. Dobbiamo aspettare le 10:30 per andare a timbrare la credenziale al centro visita nel borgo. Così ci concediamo una lunga colazione ed un secondo round di esplorazione di Santo Stefano. Oggi appaiono chiari i danni che il sisma del 2009 ha fatto e che in qualche modo continua a fare.
Le gru sono sospese sopra lo skyline del borgo e sono evidenti le zone riparate da quelle ancora precarie, abbandonate e pericolanti. Il silenzio quasi disarmante, meno giustificato in una mattina assolata di agosto di quanto potesse esserlo la sera precedente è molto eloquente. Davanti a noi un anziano si dirige verso il centro visita e saluta l’unica altra persona che avremo incontrato in quella mattina a Santo Stefano.
Dopo aver spulciato ogni articolo presente all’interno del centro visita, timbriamo la credenziale e orniamo gli zaini con la spilla del Cammino del Gran Sasso, pronti per ripartire alla volta di Barisciano, separato da noi da altri sette chilometri.
Mentre ci allontaniamo, Santo Stefano di Sessanio si offre da un’altra prospettiva, fiero e in una posizione dominante sui campi coltivati e le colline che stiamo attraversando. Dopo qualche metro l’impulso di girarsi per vedere il borgo allontanarsi dietro di noi è sempre molto forte. Oggi il Sole non è turbato da nuvole, ma l’aria fresca rende piacevole la camminata, nonostante non ci siano alberi a fornire copertura sul primo lungo tratto di carrareccia che ci allontana dal punto di partenza.
La strada agricola si fa più stretta e discontinua fino ad una zona rinchiusa tra versanti ripidi ed erbosi, gialli e grigi che si srotolano su più livelli davanti a noi, nascondendo piccoli campi a scacchi di varie tonalità di verde pomellato dal giallo paglierino delle balle di fieno.
Il rumore che in lontananza aveva tradito l’arrivo di un trattore, si fa più forte e siamo raggiunti da un “State facendo il Cammino!?“
Spento il trattore con il rimorchio carico di fieno, un contadino scende per raccomandarsi di non seguire la strada ma di prendere la mulattiera a sinistra. Nonostante avessi le tracce gpx ufficiali, ho ascoltato le raccomandazioni del fattore e fatto le piacevoli quattro chiacchiere con il nostro “incontro del giorno sul cammino“.
Ci rimettiamo in marcia verso l’ultima salita della giornata, proprio sulla mulattiera. Della mulattiera rimane l’imbocco, a dirla tutta, e procediamo su un sentiero vero e proprio, pietroso e sdrucciolevole, ma che incontra il mio gusto e soddisfazione dopo una mattinata su strada sterrata. Questo è il primo punto dove la traccia gpx diventa fondamentale, infatti la segnaletica e qualunque traccia a terra che faccia intravedere il sentiero, sparisce. Navigo carta alla mano sulla traccia segnata, attraverso un pianoro ricoperto dall’erba alta. Unica vera preoccupazione sono le buche, ma l’avventura dura poco e il sentiero bianco e battuto ricompare qualche metro sotto di noi, mentre oltre una selletta più avanti si intravedono i pali del telefono. La civiltà è di nuovo vicina.
La partenza in ritardo la mattina ci porta a percorre quest’ultimo tratto sotto un sole poco clemente, su una discesa tra i calanchi fino al margine di Barisciano. Rallentando il passo arriviamo comunque a fine tappa entro i tempi, pronti per ricaricare le pile. Attraversiamo la strada principale velocemente per fare il check in all’albergo Monte Selva e pranzare, destinando il pomeriggio all’esplorazione del borgo. Anche Barisciano porta le cicatrici del terremoto, ma sembra in uno stato più avanzato di ripristino. Probabilmente la vicinanza all’Aquila lo rende più accessibile e frequentato. Passiamo da un lato all’altro del paese, incantati dalla cura con cui sono stati ristrutturati alcuni stabili e dalla Fonte Grande, un’antica fontana utilizzata in passato per fornire acqua all’intero paese, abbeverare gli animali e mettere in funzione un mulino, ora non più presente. La luce di fine giornata ancora una volta impreziosisce ogni scorcio.
La penultima tappa
Venerdì primo settembre. La giornata che determina la metà del nostro cammino inizia tristemente con la notizia dell’uccisione dell’orsa Amarena, la notte precedente, presa a fucilate a San Benedetto dei Marsi. L’entusiasmo per il cammino si smorza nettamente e la mattinata è taciturna. Nonostante lo stato d’animo, i paesaggi che ci accolgono dopo le prime centinaia di metri fuori da Barisciano riescono a suscitare emozioni positive. Vasti altopiani con affaccio panoramico sulla valle dell’Aterno, pongono il il cammino in una bella posizione elevata.
Per diversi chilometri seguiamo la segnaletica ufficiale del parco del Gran Sasso e Monti della Laga in direzione del tempietto di S.Eusemio. Camminiamo sotto il sole e contro vento, tutto sommato un binomio piacevole, nonostante le condizioni meteo si siano totalmente invertite rispetto alle previsioni di inizio settimana.
Tratto un po’ negativo della mattinata, una lunga strada sterrata e sassosa di oltre 6 km. La monotonia del fondo non rispecchia quella dello sfondo che invece cambia di continuo, arrivando a stagliare davanti alla bianca traccia del sentiero, Monte Corvo, le Malecoste e Pizzo Cefalone.
Arriva il momento del primo pranzo al sacco del cammino. La tratta di oltre 16 km ci porta a fermarci a poco più di metà strada intorno alle 14:00 ammirando i contrafforti del Gran Sasso e le greggi al pascolo nella località Prato Fonno. Abbiamo anche i primi incontri con i cani da guardiania, sempre sereni, nonostante qualche petulante abbaio.
Ci rimettiamo in marcia, ma iniziano i problemi di orientamento. Per essere precisi, iniziano i problemi di coerenza tra tracce, segnaletica e territorio reale. Presi dei punti di riferimento certi da raggiungere, ignoro la traccia in molti punti cercando di muoverci comunque su zone non troppo impervie. In questo tratto siamo su pendii erbosi non troppo scoscesi, ma l’erba è comunque scivolosa. Per fortuna la presenza di molti animali al pascolo ha aperto una rete di sentieri e passaggi che ci permettono di arrivare senza troppi problemi al rifugio di Montecristo.
La stazione sciistica è ovviamente chiusa, ma la vicina fonte è attiva e decidiamo di concederci una bella pausa dal sole, dai grilli e dall’erba. Verso le 16:00 ripartiamo per raggiungere Fonte Cerreto. Discesa, è quello che ci aspetta.
Procediamo su un bellissimo traverso molto esposto che ci porta al limite di una faggeta spelacchiata dal vento. La prima faggeta che incontriamo.
Inizia una ripida discesa di due chilometri segnalata dagli ometti di pietra. Questo tratto per i meno esperti richiede attenzione, se non altro per non rischiare di scendere sul lato sbagliato e dover risalire. I primi passi incerti sono seguiti da una progressione più sicura, considerando anche la direzione, ormai ovvia, verso valle.
Il rumore in lontananza delle auto si fa sempre meno soffuso. Diventa netto e chiaro, dandoci il benvenuto sull’asfalto. L’unica cosa che abbiamo in mente è: “Birra!”. Ma anche “doccia“.
Raggiungiamo la Villetta a Fonte Cerreto che ci ospiterà per aperitivo, cena, notte e colazione, abbastanza provati, ma carichi per il giorno successivo.
Vado a dormire con in mente l’immagine dei tornelli della funivia.
Spazi Sconfinati
Una vasta, imperturbata, distesa di erba gialla. Cielo azzurro e creste aguzze grigio rosacee. Questo è il vestito con cui Campo Imperatore aspettava il nostro arrivo, ma noi stavamo all’interno della funivia, vestiti fin troppo pesanti per il clima che avremo trovato su. Da Fonte Cerreto in funivia si raggiunge il piazzale di Campo Imperatore, a più di 2000 metri, in appena dieci minuti. Incredibile, penso tra me e me, chissà come dev’essere salire a piedi.
Qualche passo nell’area di arrivo della cabina e l’odore di alta montagna ci inebria. Alla nostra destra il Corno Grande. Davanti a noi 22 km da percorrere, sole alto e decisamente più caldo di quello che ci si aspettava.
Per la prima volta dall’inizio del cammino, la vetta più alta degli Appennini si offre alla vista, con la sua colorazione leggermente rosata, classica delle dolomie. Ma questa mattina, le creste orientali, quelle del Centenario, sono molto più suggestive ed evocative, con le dentellate sporgenze che, dalle Torri di Casanova, si susseguono fino a alla cima di Monte Prena. Una prospettiva perfetta. Uno spettacolo unico. Procediamo fino all’imbocco del sentiero per Vado di Corno, con il telefono in mano e le tracce gpx aperte, un pò perché presi dal paesaggio, un pò perché la segnaletica non è delle migliori. Forse il primo punto in cui si sono rivelate veramente utili.
Nessuna difficoltà effettiva. Alla fine su questo terreno aperto e senza alberi, si naviga a vista senza problemi. Basta sapere dove devi andare. Noi puntavamo verso l’imbocco di Vado di Corno, la strada bianca evidente a valle. Scendendo tra massi erratici, erba umida e mucche al pascolo, ci fermiamo un istante per poi riprendere la rapida salita verso il valico che consente il transito tra il versante aquilano e quello teramano. Le nuvole iniziano ad addensarsi proprio in quel punto. Tutto diventa più evocativo e sotto di noi il grande altopiano, il nostro “piccolo Tibet”, si distende ancora di più davanti ai nostri occhi.
Libertà e leggerezza sono le uniche sensazioni che provo, mentre, quasi volando, consumiamo la discesa vertiginosa verso la piana, le ultime vere pendenze che affronteremo per parecchie ore.
Inizia la traversata dell’ altopiano più grande degli Appennini. Si potrebbe descrivere ogni momento, ogni variazione di luce dovuta alle nuvole, ogni cambio di prospettiva, ma per capire servirebbe essere qui. Dietro di noi il Corno Grande da spettacolo, emergendo e sparendo dietro dense nuvole, come fosse uno scoglio in balia delle onde, in un moto ondoso ripreso a rallentatore.
Davanti a noi il mondo, l’orizzonte. Puro passo e cammino.
Nonostante la strada sia molto vicina a noi, le auto non turbano minimamente il nostro galleggiare sul gigantesco mare d’erba. Camminiamo per ore. Poi decidiamo di volerne di più.
Dei 22 km di tappa consumiamo i primi 17 entro le 12:30 e decidiamo di fare una deviazione all’altezza del Canyon dello Scoppaturo e percorrere tutta la piana per raggiungere il famoso ristoro Mucciante, pranzare li e tornare nel canyon. Il sole sembra quello dei film western e l’ambientazione stessa richiama quegli scenari. Non a caso questa particolare zona di Campo Imperatore è stata molto usata nel cinema. Ricordate Bud Spencer con la sella sulla schiena che cammina nel deserto? Noi stiamo camminando nello stesso identico punto, manca solo il teschio di mucca per terra.
Il vento aiuta la nostra traversata e dopo aver percorso un tratto di Canyon, recuperiamo i pascoli per raggiungere l’ambito pranzo da Mucciante. Il ristoro è preso d’assalto, ma riusciamo comunque a mangiare e a riposare.
Ma la pausa ci fa dimenticare che la deviazione ci è costata diversi chilometri e che abbiamo ancora parecchia strada per completare la tappa. Da qui in avanti le gambe vanno col pilota automatico. Ormai siamo in quella fase in cui camminare è l’ultimo dei problemi, mentre comincia a pesare il sole e l’aver lesinato sulla crema solare durante tutta la giornata.
Arrivano le sette di sera e il sole inizia a dare tregua, mentre il vento soffia verso il sentiero che stiamo percorrendo. Castel del Monte è a portata di mano. Il calpestio sui sassi lascia il posto al rumore sordo e smussato del suolo battuto. Poi arriva l’asfalto.
Suonano otto volte le campane. Il nostro cammino del Gran Sasso è finito.
Riccardo Nifosì – Rock in Nature (profilo ig)