5 consigli per sopravvivere al deserto – Pieroad
Nell’inverno di quest’anno (2023) mi sono trovato ad attraversare il deserto australiano a piedi. Questa immensa regione si chiama Outback ed è una delle più inospitali al mondo. Le escursioni termiche annuali sono marcate, oscillando tra +50 e -5 gradi.
Ma la vera sfida sono le distanze. Tra un punto di rifornimento e il successivo possono esserci duecento chilometri di niente. E non si arriva a centri abitati. Le stazioni di benzina sono gli unici edifici umani in un vuoto antropico altrimenti totale. Una sorta di piccolissimi autogrill a conduzione familiare sorge accanto alle pompe di benzina e viene rifornita di cibo una volta ogni dieci giorni, in alta stagione; appena una al mese durante la bassa. Non aspettatevi di trovare ampie scelte di pasta e sughi in barattolo, né verdura fresca o tagli di carne succulenti. Nell’Outback si punta alla sopravvivenza.
Per tremila chilometri, da Adelaide a Darwin, la Stuart Highway corre da sud a nord unendo i due estremi dell’Australia. Alcune back roads, strade sterrate che ricalcano vecchie piste aborigene o linee ferroviarie dismesse, sono la porta per immergersi nel silenzio e nella solitudine assoluti del deserto. Allungano la percorrenza, certo, ma sono anche il passepartout per un’esperienza intima di connessione con se stessi e la fragilità della natura umana.
Per attraversare l’Outback, qualsiasi sia il mezzo scelto, bisogna studiare il percorso. Farlo a piedi richiede una cura extra e così ho pensato di condividere alcuni insights appresi durante i 5500 chilometri di cammino nel deserto. Di seguito 5 consigli per sopravvivere al deserto!
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1. Inviatevi ciò di cui avrete bisogno
Le comunità dell’Outback sono isolate, c’è poco da fare. Negli ultimi anni le strade sono state asfaltate (alcune) ed è arrivato internet (in alcuni casi, e comunque lento e a singhiozzo). Come comunicano con il mondo esterno? Con uno dei più vecchi sistemi inventati dall’uomo: la posta.
Il sistema postale australiano è efficientissimo e arriva persino nei luoghi dove abitano dieci o venti persone. Come accennato, non si può parlare di centri abitati, bensì di stazioni di servizio con un paio di casupole. In questo caso, è la stessa stazione a svolgere le funzioni di ricezione e invio dei pacchi. I camion postali sfrecciano lungo la Stuart Highway a 130 km/h e consegnano il prezioso carico nel giro di un paio di settimane, nella maggior parte dei casi.
Adelaide era l’ultima città presso la quale avrei potuto rifornirmi di cibo in modo ragionevole. Per arrivare alla città successiva, Alice Springs, avrei impiegato due mesi e mezzo. Impensabile caricare Ezio, il passeggino in cui trasporto ciò di cui ho bisogno, con tutto il necessario. La soluzione è stata spedire pacchi di cibo nei punti in cui sapevo sarei passato di lì a uno o due mesi. In questo modo, potevo garantire nuove provviste con una certa periodicità, pur non potendole comprare. Una volta spedito il pacco, chiamavo l’ufficio postale avvertendo dell’arrivo e spiegando la situazione di pellegrino per il deserto. La spedizione era tracciabile e una volta arrivata a destinazione una notifica per sms ed e-mail mi avrebbe avvisato dell’avvenuta consegna. Normalmente il pacco viene tenuto in giacenza per un mese, ma spiegando la situazione non è stato difficile ottenere un’eccezione.
Aprii il primo pacco dopo cinque settimane, a Marla. La proprietaria della stazione era curiosissima di conoscermi di persona, avendola chiamata almeno tre volte per sincerarmi che fosse tutto a posto. Ci facemmo una foto e mi offrì persino la cena nella stazione di servizio adiacente! Il pomeriggio aprii lo scatolone con occhi sognanti e scoprii una tavoletta di cioccolato che avevo dimenticato. Momento sublime. All’interno del pacco c’erano anche carta igienica (fondamentale) e un nuovo tubetto di dentifricio; mentre nella spedizione per Darwin avevo messo alcuni vestiti che sapevo non avrei usato e dei libri cui non volevo rinunciare, ma che avrebbero portato via spazio prezioso. Si può spedire di tutto, non limitatevi al cibo. Un setup vincente è un setup flessibile. L’unica pecca di questo sistema è che non si possono inviare frutta e verdura fresche. Marcirebbero aspettando il vostro arrivo. Tuttavia, c’è una soluzione anche a questo problema: il crioessiccamento.
2. Frutta e verdura crioliofilizzate
Mai sentito parlare del crioessiccamento? Forse vi suona familiare il suo sinonimo, liofilizzazione. È un processo che elimina l’acqua presente in una sostanza (alimentare, nel nostro caso) permettendone una lunga conservazione, anche di mesi o anni. Le proprietà nutritive non vengono alterate, perché è solo l’acqua a venire rimossa. Un vantaggio indiretto è che si tolgono anche gran parte del peso e del volume, in quanto il cibo viene ridotto in polvere.
Frutta e verdura, in particolare, sono costituite in gran parte da acqua. Cinque mele pesano tranquillamente un chilo e occupano uno spazio considerevole. Le stesse mele, crioessiccate, stanno in una bustina dal peso di poche decine di grammi. Se vi spostate con uno zaino, comprimere le vostre merende dentro a una bustina è la svolta. Persino con Ezio, il mio passeggino, la differenza sul piano pratico era abissale. Mezzo chilo di alimenti liofilizzati hanno assicurato un consumo giornaliero di frutta e verdura per settimane.
Abbiamo dunque risolto il problema della conservazione del cibo. Tuttavia, con grande stupore, dopo un paio di mesi mi sono reso conto che una parte di equipaggiamento stava ammuffendo. Com’era possibile? Nel deserto c’è solo un posto dove la presenza dell’acqua può portare alla muffa: la vostra borraccia.
3. Occhio alla muffa
Sentivo un odore strano e non capivo da dove venisse. Richiamava dalla memoria il sentore di stantio e succedeva ogni volta che bevevo. Pensai fosse a causa dell’acqua, magari non era stata filtrata bene oppure un po’ di terra era finita dentro alla tanica che usavo per riempire le borracce. Aspettai il punto di rifornimento successivo, a qualche giorno di cammino, e una volta giunto svuotai il poco che rimaneva, sciacquai i contenitori, e li riempii nuovamente. Feci una controprova, bevendo direttamente dal rubinetto che il benzinaio metteva a disposizione. Nessun sapore strano, l’acqua andava bene.
Campeggiai a Marla, crocevia della pista di terra battuta che stavo seguendo. Mentre cenavo, provai nuovamente a bere da una delle bottiglie: liscio. Forse era proprio l’acqua a essere stata contaminata in qualche modo. Chiusi il fascicolo aperto mentalmente qualche giorno prima e mi infilai nel sacco a pelo libero dai pensieri. L’indomani mattina partii come sempre alle sei per macinare i 40/45km della tappa giornaliera. Prima pausa alle nove e mezza, merenda, stretching, acqua. Presi la borraccia da Ezio, stappai, e avvicinandola alla bocca avvertii nuovamente la zaffata di marciume. Cosa diavolo poteva essere?
Guardai attentamente la borraccia e vidi dei piccoli segni neri sulla superficie altrimenti trasparente. Le unghie non riuscivano a rimuoverli, dunque stavano all’interno. Possibile che…? Era muffa! Feci mente locale e calcolai fosse passata qualche settimana dall’ultima volta che avevo lavato i contenitori con del sapone. Non ne avevo avuta possibilità, facendo free camping tutti i giorni l’accesso ad acqua corrente e un detergente era precluso. Ricorsi all’unica carta che potevo giocare: i limoni.
Avevo affinato il trucco nel deserto di Atacama, per lavare schisce e pentola in assenza di acqua. Una fetta, qualche strappo di carta igienica, e i contenitori del cibo tornavano puliti e profumati. Forse per via delle distanze, più contenute rispetto al deserto australiano, in Cile il problema della muffa non si era presentato. Strofinai dunque generose fette di limone dentro borracce e bottiglie, aiutandomi verso il fondo con una bombilla per mate – la cannuccia usata per bere il the nella Patagonia, ma questa è un’altra storia.
Probabilmente la muffa non avrebbe attecchito alle borracce di alluminio, ma dovendo trasportare fino a quindici litri di acqua avevo impiegato taniche e bottiglie di plastica. La soluzione-limone funzionò anche questa volta, sebbene alcuni contenitori fossero ormai incrostati a tal punto che avrebbero avuto bisogno di un passaggio in lavatrice. Per far andare via il saporaccio e resistere fino al prossimo lavaggio, ci spremetti dentro ciò che rimaneva del limone, cercando di coprire il gusto.
Si possono usare limoni, arance o qualsiasi agrume vi capiti per mano, secondo la regola “acido è meglio”. I primi, tuttavia, hanno un vantaggio considerevole: durano tanto. Rientrano anche loro nella categoria frutta fresca, dunque cibo deperibile, ma soprattutto quelli a scorza grossa sono in grado di resistere settimane se tenuti al buio e in una parte di zaino o Ezio il più possibile fresca. Da Alice Springs a Darwin, ad esempio, furono necessari giusto tre limoni per coprire un mese di strada. Provare per credere.
4. Tane per ragni
L’Australia, lo sappiamo tutti, è la terra dei canguri. Ma è anche la terra di una quantità spaventosa di animali mortali. Meduse, polipi, scorpioni, serpenti, ragni, sembra che gli animali più velenosi del pianeta si siano dati convegno qui. Se decidiamo di attraversare il deserto a piedi, almeno di quelli acquatici non ci dovremo preoccupare. Resta il problema degli altri piccoli e pungenti amici.
In inverno, tendenzialmente, questi animali sono meno attivi. La probabilità di incrociarli è bassa e infatti, in sei mesi, ho visto solo un serpente e una manciata di ragni tozzi e pelosi. Questi ultimi, un paio di volte, hanno deciso di cimentarsi nel free climbing sulla tenda e a uno particolarmente avventuroso è venuta la bella idea di intrufolarsi dentro Ezio e stabilirvi dimora per qualche giorno. Il fatto è che ai ragni piacciono i luoghi bui e protetti, dunque cercheranno sempre di infilarsi nel primo pertugio che trovano.
Un accorgimento di fondamentale importanza è portare le scarpe dentro alla tenda. I ragni adorano infilarcisi dentro e passare la notte al coperto senza pagare. Al mattino, assonnati, cercherete a tentoni le scarpe e appena proverete a infilarci il piede sentirete che c’è qualcosa di grosso e gommoso che oppone resistenza… Il buongiorno si vede dal mattino.
Portate tutto quello che potete in tenda, zaino compreso. Generalmente, più i ragni sono piccoli e più sono velenosi; e più facilmente si intrufolano nelle fessure che incontrano.
5. Vietate le diete
Questa potrebbe essere la dritta più piacevole: vietate le diete. Camminando una decina di ore al giorno il fabbisogno calorico esplode, presentando il conto a cadenza regolare. Bene la frutta crioessiccata, ottimi i limoni per dare sapore all’acqua, ma il vero cavallo di battaglia sono i grassi. Gli alimenti ricchi di grassi si conservano a lungo, non hanno bisogno di refrigerazione o essiccamento, riempiono lo stomaco e garantiscono un lento e costante rilascio di energia.
Ad Adelaide, per la spesa che doveva durare due mesi e mezzo, feci dunque incetta di frutta secca e burro di arachidi. Quest’ultimo, in particolare, ha un elevato apporto energetico (150% di un piatto di pasta scondita, a parità di peso) ed è composto al 50% da materia grassa. È economico, pratico, e una volta aperto si conserva per settimane. Sul mercato ci sono alternative radical chic come il burro di mandorle o di anacardi, ma queste soluzioni, oltre a essere più costose, sono anche meno grasse, dunque danno meno energia.
Uova e burro (burro “classico” da latte vaccino, per intenderci) sono un’altra ottima fonte di energia, ma risentono del calore. Sono in cammino da tre anni e ho testato diverse volte la durata delle uova sode fuori dal frigo. In ambienti freddi, sono arrivate a quattro giorni prima di cominciare a cedere; generalmente, con temperature attorno ai venti gradi, tre giorni sono un buon limite. Il burro si comporta in maniera leggermente diversa: anche sciogliendosi parzialmente, può resistere più di una settimana. In entrambi i casi, comunque, c’è un metodo infallibile per capire se potete ancora mangiarli senza pregare che la scorta di carta igienica vi sostenga: fidatevi del vostro fiuto.
Pieroad – Nicolò Guarrera
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