Come un cammino può aiutarti durante una crisi personale
Avevo da poco compiuto 22 anni quando il mondo mi è crollato addosso.
Mia mamma aveva avuto un grave problema di salute, e dopo mesi passati tra ospedali, visite mediche e notti insonni accanto ai miei fratelli, mi ero resa conto di una cosa: avevo disperatamente bisogno di un momento per me.
Non per fuggire o dimenticare, ma per metabolizzare tutto quello che era successo.
Mamma iniziava a stare meglio e io avevo bisogno di tempo e spazio, qualcosa che la mia vita, in quel momento, non riusciva a darmi.
Il Cammino di Santiago mi era venuto in mente quasi per caso, ne avevo sentito parlare durante le lezioni di geografia turistica alle superiori.
Un mese intero di cammino attraverso la Spagna.
“Perché no?” mi ero detta. “Ho due gambe sane e bisogno di tempo e spazio, partirò!”
Così mi sono licenziata dal bar dove lavoravo e, con le poche informazioni che avevo, ho organizzato il viaggio e mi sono ritrovata a camminare chilometro dopo chilometro verso Santiago.
Non ho ricevuto risposte a tutte le risposte che cercavo, ma qualcosa di più prezioso: ho imparato di essere forte e fragile allo stesso tempo, capace di prendermi cura di me, di stare nel momento presente anche quando tutto sembrava incerto.
Se stai leggendo queste righe, probabilmente anche tu ti trovi in uno di quei momenti della vita in cui tutto sembra difficile, incerto, duro. Ma hai sentito parlare del potere trasformativo del cammino, ed eccoci qui.
Questo articolo è per te.
Non ti prometto soluzioni magiche o trasformazioni istantanee, ma voglio condividere con te quello che ho imparato: cosa succede davvero quando decidi di affrontare un momento difficile, un passo alla volta.
Tipi di transizioni personali e perché potrebbe aiutarti un cammino
Ogni persona, ogni vita, ogni transizione personale è diversa. C’è chi si sveglia una mattina e non riconosce più la propria vita, chi è logorato dall’insoddisfazione o dall’ansia, chi ha perso qualcuno di importante e non sa come andare avanti, chi ha bisogno di prendere una decisione che cambierà tutto ma non riesce a vedere chiaramente.
Di seguito troverai delle situazioni in cui molte persone trovano nel camminare un supporto prezioso.
Separazioni e divorzi: riscoprire chi sei quando non sei più “noi”
Dopo anni passati a definirti come metà di una coppia, può essere spiazzante ritrovarsi improvvisamente soli. Il cammino ti costringe a prendere decisioni in autonomia – quando fermarti, cosa mangiare, dove dormire – e a fidarti del tuo giudizio. Ti ricorda che sai badare a te stesso, anche se per un po’ te ne eri dimenticato.
Anika, che ho incontrato nel mio cammino, aveva 50 anni e stava attraversando un divorzio dopo 25 anni di matrimonio. “Non ricordavo più cosa mi piaceva veramente,” mi aveva detto. “Avevo sempre scelto in base a cosa piaceva a lui, o ai bambini, o a cosa sembrava giusto per la famiglia.” Il cammino le aveva dato la possibilità di riscoprire i suoi gusti, i suoi ritmi, le sue priorità. Per riscoprirsi intera, per riscoprirsi forte, per ascoltarsi veramente.
Lutti e perdite: elaborare il dolore attraverso il movimento
Il dolore ha bisogno di essere mosso, non seppellito. Camminare per giorni e giorni può diventare un modo fisico di elaborare una perdita, di lasciare che il corpo esprima quello che a volte non riusciamo a mettere in parole.
Il movimento ritmico e ripetitivo del camminare ha qualcosa di meditativo che aiuta a processare emozioni molto intense senza venirne sopraffatti. Ovviamente non è che il dolore sparisca, ma troverà un posto, piano piano, dove stare senza occupare ogni centimetro della tua vita.
Durante un cammino, quando magari vedrai un tramonto o quando qualcuno ti offrirà aiuto inaspettato, può capitare di pensare: “Come sarebbe stato bello condividere questo momento insieme.”
Ma invece di essere solo doloroso, quel pensiero può diventare un modo per portare quella persona con te.
Per renderla fiera di te, per mostrarle che stai ancora vivendo pienamente, che la sua perdita non ti ha spezzato totalmente, ma ti ha reso più consapevole della bellezza delle piccole, grandi cose della vita.
E poi la natura ha un modo particolare di farti sentire connesso con chi non c’è più. Una farfalla che si posa sulla tua spalla proprio quando stavi pensando a quella persona, un raggio di sole che spunta dalle nuvole nel momento giusto, il profumo di un fiore che ti ricorda il suo.
Non sono coincidenze soprannaturali, ma momenti in cui il cuore si apre e trova un linguaggio diverso per elaborare l’assenza. È come se la bellezza del mondo diventasse il modo in cui quella persona continua a parlarti.
Il cammino può diventare un dialogo silenzioso, un modo per onorare chi non c’è più attraverso la tua capacità di andare avanti, di aprirti alla vita, di trasformare il dolore in una presenza diversa, ma ancora reale.
Cambi di carriera: chiarire valori e priorità lontano dalle pressioni
Ti svegli ogni mattina e la prima cosa che provi, pensando alla giornata che ti aspetta a lavoro, è un peso allo stomaco. Magari hai un lavoro che sulla carta è perfetto: stipendio dignitoso, buoni colleghi, sicurezza, ma quando pensi ai prossimi dieci anni a fare la stessa cosa, ti viene l’ansia.
O forse sei in un ambiente tossico dove ogni giorno ti senti un po’ più piccolo, un po’ meno te stesso.
O ancora, hai raggiunto tutti gli obiettivi che ti eri prefissato ma ti rendi conto che non ti danno la soddisfazione che ti aspettavi.
Quando sei immerso nella routine lavorativa, è difficile fare un passo indietro e chiedersi veramente cosa si vuole. Le scadenze, le riunioni, le aspettative degli altri creano un rumore di fondo che rende quasi impossibile ascoltare la propria voce interiore.
Il problema è che spesso non ci accorgiamo di quanto una situazione lavorativa stia influenzando la nostra vita fino a che non è troppo tardi.
È come la storia della rana bollita: se metti una rana in acqua bollente, salta fuori immediatamente. Ma se la metti in acqua fredda e alzi la temperatura gradualmente, la rana non si accorge del pericolo e muore bollita.
La routine lavorativa può funzionare allo stesso modo: ogni giorno la temperatura sale di un grado – un po’ più di stress, un compromesso in più sui tuoi valori, un po’ meno tempo per te stesso – finché non ti ritrovi in una situazione che è diventata insostenibile così gradualmente che nemmeno te ne sei accorto.
Lontano dalle pressioni quotidiane, emergono domande che normalmente non hai tempo di farti.
Durante le lunghe ore di cammino, potrai quindi provare a riflettere su: “Quando mi sono sentito davvero energico nell’ultimo anno? Cosa stavo facendo?”
“Se avessi la garanzia di non fallire, cosa farei?”
“Quali sono i valori che non sono disposto a compromettere?” “Quando parlo del mio lavoro, che emozioni provo?”
“C’è qualcosa che è sotto il mio controllo e posso cambiare?”
Il cammino ti ricorda che hai sempre una scelta. Anche quando sembra di no, anche quando tutti ti dicono che “Almeno hai un lavoro!“, anche quando la paura del cambiamento sembra più grande di qualsiasi altra cosa.
Ogni passo che fai è una decisione, ogni bivio una possibilità di andare in una direzione diversa.
Crisi esistenziali: riconnettersi con se stessi
A volte le crisi non hanno un evento scatenante specifico. Arriva semplicemente quella sensazione vaga, ma persistente, che qualcosa non va, che stai vivendo la vita di qualcun altro, che hai perso la bussola da qualche parte lungo la strada.
Si tratta di una sensazione che arriva spesso di notte, quando tutto è silenzioso e non puoi più nasconderti dietro al rumore della giornata.
Ti guardi dentro e pensi: “Ma davvero questa è la mia vita?” Non è che stia andando tutto male, anzi.
Magari hai quello che la società considera una “vita di successo”: un luogo che chiami casa, relazioni stabili, amicizie, un lavoro rispettabile.
Eppure c’è qualcosa che non quadra, una voce sottile che sussurra: “Non è questo che volevi, vero?”
La crisi esistenziale è spesso il segnale che hai perso il contatto con te stesso, che da qualche parte lungo la strada hai iniziato a vivere la vita che pensavi di dover vivere, invece di quella che volevi davvero vivere.
È come se fossi diventato un attore che interpreta il ruolo di se stesso, ma ha dimenticato chi era prima di salire sul palco.
Il cammino ti riporta all’essenziale.
Per settimane vivi con solo quello che riesci a portare sulle spalle, e scopri che è molto meno di quello che pensavi di aver bisogno.
Senza tutte le distrazioni abituali – social media, shopping, serie TV, impegni sociali – rimani solo tu con i tuoi pensieri.
All’inizio può fare paura, ma poi diventa liberatorio.
In cammino, poi, cadono tutte le maschere.
Quelle che indossi al lavoro, quelle che metti con la famiglia, quelle che usi per adattarti al gruppo sociale di turno. Quando sei stanco, sudato, con i capelli sporchi e lo zaino che ti pesa sulle spalle, non puoi più fingere di essere qualcun altro.
E una volta che la maschera cade, ti vedi meglio.
Non solo chi sei davvero, ma anche chi potresti essere.
C’è poi qualcosa di magico nell’incontrare persone completamente sconosciute lungo il cammino: con loro puoi permetterti di essere completamente onesto, perché non hai una reputazione da mantenere o aspettative da rispettare.
Quello sconosciuto con cui condividi un caffè al bar di un paesino sperduto può farti da specchio in un modo che i tuoi amici di sempre non riescono più a fare. Ti farà domande che nessuno ti fa più, ti darà chiavi di lettura che solo chi non conosce la tua storia può offrirti.
Scoprirai poi che la ripetitività del camminare libera la mente per vagare, per fare connessioni che nella vita frenetica non avrebbe mai tempo di fare. Non è raro che le intuizioni più profonde arrivino proprio quando stai semplicemente mettendo un piede davanti all’altro, senza forzare niente.
È come fare un reset che ti permette di ricordare cosa ti fa stare bene davvero, al di là di quello che “dovresti” volere o essere.
Cosa ci aspettiamo durante un cammino VS cosa succede davvero
Prima di partire, avevo in testa un film. Avevo l’idea che al mio arrivo a Santiago sarei stata una persona completamente trasformata, con tutte le risposte in tasca e una chiarezza cristallina su cosa fare della mia vita.
La realtà è stata molto diversa.
Il mito: “Troverò tutte le risposte”
La realtà: “Imparerò a stare con le domande”
L’incertezza mi terrorizzava. Era quella sensazione di non avere il controllo che mi faceva svegliare nel cuore della notte con l’ansia che mi stringeva lo stomaco.
“Che fine farò? Riuscirò mai davvero a prendermi cura di me? E se non troverò mai la mia strada? Magari non capirò mai cosa voglio davvero. Cosa succederà se non riuscirò mai a dare veramente ascolto alle mie necessità? Resterò per sempre in questo limbo di insoddisfazione e frustrazione?“
Dopo un mese di cammino, le domande erano le stesse, ma qualcosa era cambiato nel modo in cui le guardavo.
Ho imparato, invece, che alcune domande non hanno risposte immediate, e che va bene così.
A dire il vero, non solo va bene: a volte è necessario. Alcune risposte arrivano solo quando sei pronto a riceverle, o quando la vita ti mette davanti le circostanze giuste.
Il cammino mi ha insegnato a convivere con l’incertezza senza farmi prendere dal panico. Ogni giorno, per quasi 40 giorni, mi svegliavo sapendo solo che dovevo mettere un piede davanti all’altro. Non sapevo se avrei trovato posto all’ostello, se il tempo avrebbe tenuto, se le mie gambe avrebbero retto (non ero per nulla allenata, devo ammetterlo).
Eppure, giorno dopo giorno, le cose si sono sempre risolte. Non sempre come avevo immaginato, ma si sono risolte.
Lo sarebbe anche ora, ma a 22 anni, era una lezione che valeva oro. A quell’età, tutti intorno a me sembravano avere le idee chiarissime: università, carriere che si avviavano, relazioni stabili. Io mi sentivo indietro, sbagliata, come se stessi perdendo tempo prezioso. Il cammino mi ha mostrato che “non sapere ancora” non è sinonimo di “essere perduti”.
È porsi domande e, con calma, trovare le risposte.
Il mito: “Tornerò una persona completamente nuova”
La realtà: “Scoprirò parti di me che c’erano già”
Immaginavo di tornare come una farfalla uscita dal bozzolo: più sicura, più saggia, più… non lo so, più tutto.
Come se dovessi lasciare la vecchia me da qualche parte lungo la strada e raccogliere una versione migliorata a Santiago.
Non sono diventata una versione 2.0 di me stessa. Ho semplicemente riscoperto una versione che c’era sempre stata, ma che, tra lavoro, insicurezze e preoccupazioni costanti, avevo dimenticato esistesse. Una persona capace di gestire l’imprevisto, di adattarsi, di fidarsi delle proprie gambe e delle proprie decisioni. Una persona che sapeva ridere anche quando tutto sembrava andare storto.
Le persone che ho incontrato lungo il mio cammino sono state specchi inaspettati. C’era Anika, una signora tedesca di 50 anni che aveva appena divorziato dal marito e stava camminando per “ritrovare la sua strada.” Mi ha fatto vedere che l’età non c’entra niente con il coraggio di ricominciare.
C’era Sebastian, uno spagnolo che faceva un tratto di cammino ogni anno, da dieci anni, sempre da solo, e mi ha insegnato che la solitudine può essere una scelta, non una condanna.
Ogni conversazione, ogni storia condivisa davanti a un piatto di pasta in ostello o durante una pausa sotto un albero, mi rimandava indietro pezzi di me che non sapevo di avere. Ero in totale ascolto, non stavo diventando qualcun altro, ma mi stavo ricordando chi ero davvero, al di là delle paure e delle aspettative che mi ero costruita addosso.
Il cammino non ti cambia. Ti permette di incontrarti senza tutte le distrazioni che normalmente ti impediscono di ascoltarti davvero.
Il mito: “Risolverò tutto in cammino”
La realtà: “Inizierò un processo che continua ancora oggi”
Il Cammino non è stato la soluzione magica ai miei problemi. E probabilmente non lo sarebbe nemmeno per i tuoi.
Ma è stato l’inizio di un modo diverso di affrontarli.
Da allora non ho mai smesso di prendermi cura di me stessa, di camminare, di concedermi tempo e spazio quando ne ho bisogno. Il cammino è stato il primo mattone, non l’intera costruzione.
Se parti aspettandoti la rivelazione mistica che cambierà tutto, probabilmente tornerai deluso. Se parti aspettandoti di imparare qualcosa su di te – anche se non sai ancora cosa – allora sei sulla strada giusta.
E ora che hai un’idea più realistica di cosa potrebbe succedere vediamo, un po’ più nello specifico, il “viaggio psicologico” che affronterai se deciderai di metterti in cammino.
Prima, durante e dopo: il “viaggio psicologico” in cammino
Prima
Tutti si concentrano sullo zaino, sulle scarpe giuste, sull’attrezzatura tecnica, sulla forma fisica. Ma la preparazione più importante – e ne sono sempre più convinta – è quella che riguarda la tua testa.
Devi prepararti al fatto che non sarà come nei film: non ogni giorno sarà illuminante, non ogni paesaggio ti commuoverà, magari non troverai in ostello gli amici che speravi, e ci saranno momenti (forse più di quanti credi) in cui ti chiederai cosa diavolo ci fai lì, dove ti chiederai “Chi me l’ha fatto fare?”.
Ma non voglio demoralizzarti, anzi. Voglio che tu sia semplicemente cosciente dell’esperienza trasformativa che può essere un cammino.
E sicuramente leggere questo articolo può essere un ottimo punto di partenza.
Durante
Preparati a stare con te stesso per ore e ore senza distrazioni. Se normalmente riempi ogni silenzio con musica, podcast, telefonate, il cammino ti metterà di fronte a un tipo di quiete che all’inizio può essere scomoda. È normale sentirsi ansiosi all’idea di tutto quel tempo da soli con i propri pensieri, ma questo silenzio creerà degli spazi più limpidi dentro di te, facendo affiorare quello che davvero conta.
Il cammino non è una progressione lineare verso l’illuminazione. È più simile a una montagna russa emotiva che parte lenta e poi ti porta su e giù senza preavviso.
Ci sono giorni in cui ti senti invincibile, come se potessi camminare fino alla fine del mondo. Altri in cui ogni passo è una fatica e ti chiedi perché hai pensato che fosse una buona idea. Momenti di pura gioia e momenti di profonda tristezza che emergono dal nulla.
Le resistenze arrivano quando meno te le aspetti. Non necessariamente quando sei fisicamente stanco, ma spesso quando inizi a scavare troppo in profondità dentro te stesso.
È il momento in cui la mente ti dice: “Basta, non voglio più continuare, che diavolo sto facendo?”
Se dovesse succedere, fermati. Respira. Ricordati perchè ti sei messo in cammino e cerca di riconoscere queste resistenze come parte del processo, non parte del tutto.
E poi procedi, non mollare, perchè spesso i giorni più difficili sono quelli che ti insegnano di più.
Quando tutto va liscio impari poco su te stesso.
Quando invece devi affrontare la pioggia, un errore di percorso, o semplicemente una giornata nera emotivamente, scopri di cosa sei davvero capace.
Dopo
Il vero lavoro inizia quando torni a casa. Passando settimane o mesi in una bolla dove le uniche preoccupazioni erano: dove andare, dove dormire, cosa mangiare, lavare i vestiti del giorno e riposare… ecco, tornare alla routine può essere destabilizzante quanto partire.
Il rischio è di idealizzare l’esperienza del cammino e svalutare tutto il resto. “Quando ero in cammino tutto aveva senso, ora sono di nuovo in questo caos.” Ma l’obiettivo non è vivere per sempre in cammino, è integrare quello che hai imparato nella tua vita quotidiana.
Le intuizioni che hai avuto camminando hanno bisogno di tempo per sedimentare. Non aspettarti di rivoluzionare la tua vita il giorno dopo il ritorno. Alcune realizzazioni emergeranno settimane o mesi dopo, quando meno te lo aspetti. L’importante è rimanere aperto a quello che l’esperienza continua a insegnarti, anche a distanza di tempo.
E soprattutto, ricorda che il cammino non finisce quando arrivi a destinazione. Il cammino vero è quello che continui a fare ogni giorno per applicare quello che hai scoperto su te stesso, lungo il cammino.
I veri benefici del cammino
Dimentichiamoci per un momento tutte le frasi motivazionali e i post Instagram su quanto il cammino “cambi la vita.” Parliamo di cosa succede davvero, dei benefici concreti che ti porti a casa e che nessuno può più toglierti.
Resilienza pratica, non teorica
Una cosa è leggere che “Sei più forte di quello che pensi” un’altra è averlo sperimentato nel corpo.
Quando hai camminato 25 chilometri sotto il sole con lo zaino che pesa 8 kg, e sei comunque arrivato in ostello, quella non è più “filosofia”. È una certezza che hai nelle gambe, dentro di te.
La resilienza che sviluppi in cammino non è fatta di belle frasi e pacche sulle spalle, ma di prove concrete. Hai gestito vesciche dolorose, ti sei perso e hai ritrovato la strada, hai dormito in posti scomodi, ti sei confidato con uno sconosciuto, hai chiesto aiuto anche se è stato difficile farlo, hai affrontato la solitudine e la fatica.
Ogni volta che ce l’hai fatta, hai aggiunto un mattoncino alla tua fiducia in te stesso.
Quando torni alla vita normale e ti trovi di fronte a una difficoltà una parte di te si ricorderà: “Ho camminato per giorni, nonostante tutto. Questo lo posso affrontare.”
Fiducia nelle proprie capacità
Prima del cammino, molte delle nostre certezze su noi stessi sono teoriche. “Penso di essere una persona determinata” “credo di saper gestire le difficoltà” “dovrei essere capace di stare da solo” Il cammino trasforma questi “penso” e “dovrei” in “so” e “posso.”
Scoprirai capacità che non sapevi di avere.
Non solo fisiche, anche se è incredibile rendersi conto che le tue gambe possono portarti molto più lontano di quanto immaginassi, ma soprattutto mentali ed emotive.
Scoprirai di saper prendere decisioni rapide quando serve, di saper chiedere aiuto senza vergogna, di saper stare nell’incertezza senza andare in panico.
Accettazione dell’incertezza
Forse è il regalo più prezioso che il cammino ti fa: la capacità di stare nell’incertezza senza impazzire.
Ogni giorno parte con un piano, ma ogni giorno quel piano può cambiare. L’ostello è pieno, il tempo peggiora, incontri qualcuno che ti propone una deviazione interessante.
Impari che l’incertezza non è il nemico, è semplicemente la condizione normale della vita. E che puoi essere felice e sereno anche senza avere tutto sotto controllo. Anzi, spesso i momenti più belli del cammino sono proprio quelli non pianificati, quelli che nascono dall’apertura all’imprevisto.
Questa accettazione dell’incertezza ti cambia profondamente il modo di vivere. Smetti di sprecare energie cercando di controllare tutto, smetti di paralizzarti quando non hai tutte le informazioni, smetti di rimandare le decisioni aspettando la sicurezza assoluta che non arriverà mai.
Impari l’arte di fare il passo successivo con le informazioni che hai, sapendo che potrai sempre correggere la rotta strada facendo.
Come scegliere il cammino giusto per il tuo momento
Chilometraggio, difficoltà e tempistiche
Non tutti i cammini sono uguali, e non tutti vanno bene per ogni momento della vita. Scegliere quello sbagliato può trasformare un’esperienza potenzialmente trasformativa in una fonte di stress aggiuntivo.
Ma partiamo da una premessa fondamentale: non esiste una formula matematica per il cammino perfetto. Non c’è un chilometraggio magico che garantisce l’illuminazione, né una durata ideale che funziona per tutti.
La realtà è che dobbiamo fare i conti con vincoli molto concreti: non tutti hanno settimane libere a disposizione, non tutti possono permettersi economicamente di partire per un mese, non tutti hanno la possibilità di allontanarsi a lungo dalle proprie responsabilità.
E va bene così. L’importante è riuscire a ritagliarsi anche solo qualche giorno per se stessi. Anche un weekend di tre giorni può essere prezioso se è quello che riesci a permetterti in quel momento. Non aspettare di avere le condizioni perfette per partire, perché quelle condizioni potrebbero non arrivare mai.
Inoltre la tentazione, quando si decide di partire, è sempre quella di pensare “Più lungo è, meglio è“, come se la trasformazione fosse direttamente proporzionale ai chilometri percorsi.
Ma non è sempre vero.
Se stai vivendo una crisi improvvisa, anche solo qualche giorno può bastare.
È il tempo giusto per fermarti, respirare e vedere le cose con occhi diversi, senza che sembri una fuga da ciò che dovrai comunque affrontare.
Se invece stai attraversando una trasformazione più profonda, quella sensazione che qualcosa dentro di te deve cambiare, una crisi che ti accompagna da tempo, probabilmente hai bisogno di più spazio.
Ci vuole tempo per lasciar andare quello che non serve più e ascoltare e metabolizzare cosa emerge.
Anche la difficoltà del percorso dovrebbe rispettare dove sei ora. Se senti di aver bisogno di dimostrarti che sei più coraggioso di quanto credi, una sfida può aiutarti a ritrovare fiducia. Ma se ti senti già fragile e hai bisogno di tranquillità, scegli qualcosa di gentile che ti permetta di concentrarti su quello che provi senza aggiungere fatica alla fatica.
Per scegliere il cammino più adatto a te e alle tue possibilità, puoi consultare la nostra sezione dedicata ai cammini italiani.
Li troverai organizzati per regione, tempo di percorrenza e stagione ideale, così puoi filtrare in base ai tuoi vincoli di tempo e budget. Per i cammini all’estero, invece, troverai informazioni complete online su siti specializzati che ti aiuteranno a orientarti tra le diverse opzioni.
Cammino in solitudine o in compagnia
Molti partono con l’idea che da soli sia meglio, pensando che sia l’unica opzione “autentica”, ma non è sempre la scelta giusta. Dipende dal tuo temperamento e da quello di cui hai bisogno in quel momento specifico.
Se sei una persona che normalmente elabora parlando, che ha bisogno di condividere per capire, che si nutre del confronto con altri, probabilmente la solitudine totale non è la scelta giusta. Rischi di rimanere intrappolato in loop mentali negativi senza avere nessuno che ti aiuti a spezzarli.
Meglio cammini frequentati (come la Via degli Dei, il Cammino di Oropa della Serra o il Cammino dei Borghi Silenti) dove è facile incontrare altre persone, o partire direttamente con qualcuno di cui ti fidi.
Se invece sei una persona che normalmente ha sempre qualcuno intorno – famiglia, colleghi, amici – e senti di aver perso completamente il contatto con la tua voce interiore, allora la solitudine può essere proprio quello di cui hai bisogno. Preparati perchè all’inizio può essere destabilizzante trovarti solo con i tuoi pensieri dopo tanto rumore costante. Dopo, però, non ne potrai più fare a meno.
Quando non fare un cammino
Sembrerà strano leggere questo in un articolo che parla dei benefici del camminare durante le transizioni, ma ci sono momenti in cui partire per un cammino non è la scelta giusta. Anzi, può essere controproducente o addirittura dannoso.
Se stai attraversando un momento di forte crisi, momenti di depressione, attacchi di ansia o panico ricorrenti, dipendenze.. ecco, la solitudine e l’isolamento possono peggiorare la situazione.
In questi casi, il primo passo dovrebbe essere chiedere aiuto ad uno psicologo.
Il cammino funziona meglio come complemento a un percorso di crescita (con o senza aiuto psicologico), non come alternativa al lavoro su se stessi.
Se fai tanta fatica a gestire la vita quotidiana, difficilmente troverai nel cammino la soluzione magica. È meglio stabilizzare prima la situazione con il supporto adeguato.
Se ti ritrovi in queste righe, fermati un momento e fatti queste domande, potrebbero aiutarti a comprenderti meglio:
- Riesco a gestire le mie responsabilità quotidiane?
Se fai fatica ad alzarti dal letto o a mantenere le routine base, il cammino potrebbe essere troppo impegnativo. - Ho aspettative realistiche sul Cammino o lo sto idealizzando per fuggire da quello che mi sta succedendo?
- È davvero il momento giusto? Ci sono questioni urgenti che sto rimandando? Persone che dipendono da me?
- Sto bene fisicamente ed emotivamente? Ho energie sufficienti per affrontare le difficoltà del cammino?
- So gestire la solitudine? Se l’idea di stare da solo con i tuoi pensieri ti terrorizza, forse hai bisogno prima di altro supporto
- Ho una rete di supporto a casa? Se torno e non ho nessuno con cui elaborare l’esperienza, potrei sentirmi più isolato di prima?
- Sto partendo per elaborare o per scappare?
Se l’idea è “Parto, così non ci penso più,” probabilmente non è il momento giusto. Se invece è “Parto, così avrò tempo per metabolizzare per tornare più forte”: allora tifiamo per te!
Se ti sei riconosciuto in qualcuna di queste situazioni, considera di parlare prima con uno psicologo. Non c’è assolutamente niente di sbagliato nel chiedere aiuto professionale, spesso è il primo passo più coraggioso che puoi fare per te stesso.
Il cammino non scappa. I sentieri ci saranno anche quando sarai davvero pronto ad affrontarla, e quel momento arriverà.
Il cerchio che si chiude
I primi 700 chilometri del mio Cammino di Santiago li ho fatti da sola. Era quello di cui avevo bisogno: tempo per elaborare, spazio per ascoltarmi, silenzio per sentire cosa aveva da dirmi il mio mondo interiore.
Ma negli ultimi 100 chilometri, da Sarria a Santiago, è successa una cosa che speravo dal primo istante, dal primo momento in cui pianificai il tutto: la mia mamma mi ha raggiunto. Si era allenata, preparata, e voleva condividere quell’esperienza insieme.
Quegli ultimi 100 chilometri sono stati completamente diversi dai primi 700, ma non meno preziosi, anzi.
Dove prima c’era stata introspezione, ora c’era condivisione. Vedere mia mamma affrontare le salite, gestire la fatica, scoprire la sua forza, mi ha fatto capire che il cammino le stava restituendo fiducia tanto quanto ne aveva data a me.
Quando siamo arrivate a Santiago, abbracciate davanti alla cattedrale, ho capito che il cammino era iniziato dalla paura di perderla ed era finito con la gioia di ritrovarci insieme, più forti di prima.
Un ultimo pensiero che porto con me da quel cammino del 2017 e che voglio lasciarti qui: non farti spaventare dai limiti altrui. Definisci i tuoi. Fidati del tuo istinto.
Le persone intorno a te potrebbero dire che è troppo rischioso, troppo difficile, troppo tutto. Ma tu conosci te stesso meglio di chiunque altro. Ascolta la tua voce interiore, quella che ti ha portato fino a questo articolo, e fidati di quello che ti dice il cuore.
Ascoltati, scopriti. Non c’è regalo più grande che tu ti possa fare. Il resto lo scoprirai strada facendo, un passo alla volta.
Se hai letto fino a qui non mi resta che augurarti In bocca al lupo per questo tuo periodo.
Con affetto, buon cammino e buona vita.